Senza dubbio tra i gruppi più originali di tutta la new-wave, i Tuxedomoon, dopo la splendida prova del loro debut-album "Half Mute", smussarono un pò gli angoli della loro ricerca avanguardistica, a favore di un suono meno glaciale e distaccato.
La copertina stessa suggerisce un indefinibile calore, sicuramente distante dall' astrattismo geometrico del primo disco.
I Tuxedomoon pur essendo di San Francisco, e quindi portatori di un background notevole, avevano l'essenza della decadenza mitteleuropea. L'Europa infatti, ha sempre tributato loro un notevole seguito, e il gruppo ricambiò l'affezione trasferendosi in Belgio, dove trovò un favorevole ambiente. Se la scena Belga deve molto all'influenza del gruppo americano, si può dire quasi altrettanto il contrario, dato che i Paesi Bassi a livello di mercato, hanno sempre rappresentato un punto strategico dell'Europa.

Si diceva appunto di "Desire", uscito nel 1981. Si inizia subito con una suite di 15 minuti divisa in 4 parti: nella prima, "East", il solito violino riprende il discorso da dove si era interrotto, con un graffio granitico e maligno. Subito dopo entra un sassofono conturbante ad alzare il tasso di sensualità, mentre un cupo rimbombo di basso ribolle imperterrito sullo sfondo.
Si entra così nell'affascinante tango elettronico degenerato della seconda parte, "Jinx", un drammatico balletto per voci disperate e note minori, dove sono ancora il sax e il violino a farla da padrone, sicuramente i due strumenti artefici del "Tuxedomoon Sound". I restanti 5 minuti non sono altro che rumorismi in lontananza e tenebrosi esperimenti d'avangurdia, per fonti "trovate" e dissonanze abuliche.
Si giunge così alla successiva "Victims Of The Dance", un caldo brano di elettro-pop "a modo loro", colmo di effettismi e controvoci di fantasmi.
La frenesia disco che martella "Incubus (Blue Suit)" con un battito cardiopatico di drum-machine, ci porta sui territori stranianti da loro prediletti, con un giro di synth memorabile, e acuti elettronici simili a sirene impazzite.
Un basso capriccioso apre la title track, per poi continuare imperturbabile i suoi borbottii tra notturne frasi di violino e tastiere sonnambule, su tutto, la solita voce alienata che recita versi duettando con un sassofono sinuoso. L' atmosfera fortemente onirica, e la fitta coltre di suoni cesellata in fase di arrangiamento, fa assomigliare "Desire" più ad un incubo che ad una canzone.
Come se questo non bastasse, la successiva "Again" prosegue il discorso rallentando il ritmo, snodandosi in una languida ballata, oscura e angosciante, con tanto di sax lunare sempre in splendido primo piano.
La cavalcata di "In the Name Of Talent (Italian Western Two)" restituisce al ritmo il ruolo principale, tra contaminazioni tribal-elettroniche ed il solito, irresistibile, melodismo sintetico.
Il sipario cala con la gag da teatrino di provincia che apre "Holiday For Plywood". Ma è solo uno scherzo, i Tuxedomoon tornano subito "seri", recuperando dopo nemmeno un minuto il loro espressionismo, tra concessioni orchestrali da film noir e ribollenti linee di basso.

Dove il primo album respinge col suo suono asettico e glaciale, questo, pur conservando l'umore tetro che li caratterizza, rende il suono dei Tuxedomoon fascinoso ed attraente, grazie ad un uso più presente del sassofono e delle tastiere e ad una sezione ritmica più convenzionale. Seppur in maniera "elitaria", "Desire" si avvicina così ad una forma canzone più classica, rappresentando il naturale anello di congiunzione tra l'avanguardia di "Half Mute" e la nascente moda del synth-pop.

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