Personalmente trovo abbastanza vergognoso l'atteggiamento di quasi completa indifferenza da parte dell'industria discografica italiana verso questo grande personaggio che, oltreché essere un cantautore di grande poetica e sopraffino musicista, ha dato una spinta decisiva alla scena milanese della canzone e del cabaret. Gli album più vecchi del nostro cantautore-medico non sono nemmeno mai stati ristampati in CD, ed è una cosa che grida vendetta, data la bellezza di alcuni di questi che, se non raggiungono il capolavoro, per lo meno lo sfiorano di pochissimo.

Probabilmente il suo album più bello sotto tutti i punti di vista è questo "Quelli che...", un disco che, a trent'anni dall'uscita, non ha perso un grammo della sua forza e della sua attualità. Sì, perchè è assolutamente vero ancora adesso che "la televisiùn la g'ha una forsa de leùn, la g'ha paùra de nisùn, la te n'dormenta me'n cojùn", anzi, oggi più che mai.
La canzone "Quelli che..." è un pezzo storico, che oltretutto si adatta a essere smontato e rimontato a seconda dei periodi e non perde mai un minimo della sua carica dialettica e della sua ironia (a me fa sbellicare quando Enzo dice "Quelli che fanno l'amore in piedi convinti di essere in un piedaterre").
"El me indiriss" è incantevole, ricordi d'infanzia vissuta in strada, quando "la legge l'era de dai via, ma l'era anca quella de ciapai" con una banda di ragazzini sgangherati, ma di una umanità infinita.

"Il monumento", col testo tratto da un manifesto di quelli di cui all'epoca le grandi cità erano piene, quelli che annunciavano le manifestazioni. Vi sono inoltre alcuni arguti intermezzi recitati, anche con la collaborazione di uno dei più bravi giornalisti italiani, quel Beppe Viola che ci ha lasciati troppo presto, a soli 42 anni nel 1982. Beppe si occupava di sport (è stato anche brillante conduttore della "Domenica Sportiva"), ma era uno scrittore a tutto tondo. Anche negli intermezzi recitati, comunque, nella grande ironia, ci sono molti fondi di verità, con sarcasmi a proposito del karatè ("Per giocare a karatè bisogna conoscere l'indirizzo segreto di Martin Bormann..."), sui tanti maniaci dei viaggi esotici a tutti i costi ("Per andare in Kenia bisogna sapere dov'è..."), sulla prigione ("Viva la galera") e sulla malasanità ("Dottore").
Tornando alle canzoni, si registra anche la partecipazione dei fidi Cochi e Renato ("L'arcobaleno"), poi ci sono due capolavori autentici: "Vincenzina e la fabbrica" è una disperata visione del lavoro di operaio, con la moglie che lo aspetta all'uscita, e con il padrone che non ha nemmeno problemi di fede calcistica ("Zero a zero anche ieri 'sto Milan qui, 'sto Rivera che ormai non mi gioca più, che tristezza, il padrone non ci ha neanche quei problemi qui"). "Il bonzo", poi, è un altro di quei pezzi con una forte attualità ancora oggi, il problema della disoccupazione non è di certo diminuito, e racconta della disperazione di un uomo che si trova da un giorno all'altro senza più un lavoro, senza casa, senza macchina e senza donna e decide di darsi fuoco, come, appunto, i bonzi.
"9 di sera" è una delicata traduzione da Chico Buarque de Hollanda ("A televisao"), ed è una specie di film. La telecamera inquadra un uomo solo nella via, mentre la gente è tutta a casa a guardare i varietà della TV. La luna in cielo cerca di distrarlo, mentre l'uomo discute e "si bisticcia fra di sé" per la solitudine e per non avere un interlocutore con cui parlare. Alla fine l'uomo va a casa e la luna in cielo "rassegnata e un po' delusa si nasconde dietro il muro a guardare la TV". Infine la completa e tragica follia di "Il marognero", prima dell'ultimo intervento parlato con cui il disco si conclude, lasciando l'ascoltatore a metà fra l'ammirato per questo grande cantautore e l'addolorato per la profondità dei temi toccati.

Sarebbe il caso che anche gli ascoltatori d'oggi potessero beneficiare di queste emozioni, ristampate il disco!!!

Carico i commenti... con calma