Per parlare di certi dischi bisogna attendere l’ispirazione. Erano diversi giorni che mi frullava in testa l’idea della recensione di questo album, ma il momento giusto, per un motivo o per l’altro, non arrivava mai.

Pochi giorni fa ho parlato di "Quelli che…" come di uno dei capisaldi della discografia del cantautore-medico, ma questo "Fotoricordo" del 1979 non gli è assolutamente da meno. Canzoni memorabili e, per l’ennesima volta, che, ascoltate adesso, non perdono un milligrammo della loro forza e della loro (triste) attualità. Gli unici momenti che sanno di riempitivo sono tre dialoghi surreali con la partecipazione di un Giorgio Bracardi che mi sembra fuori contesto, oltreché fuori dalle righe oltre misura. Musicalmente, invece, non c’è un solo secondo inutile in questo album che è stato anche in questo caso colpevolmente ignorato dall’industria discografica italiana e che, vergognosamente, non è mai stato ristampato in CD.

"Io e te" è un bellissimo brano d’atmosfera in cui si parla del disagio esistenziale che, ancora adesso, attanaglia molti giovani ("Sì ma qui che l’amore si fa in tre, che lavoro non ce n'è, l’avvenire è un buco nero in fondo al tram"). "Saltimbanchi" è uno spaccato di vita da artista che gira a proporre le sue cose, in eterno, fin che dura ("Saltimbanchi si muore"). "Natalia" è un'altra delle storie di vita vissuta di Enzo, questa volta una storia vissuta all'interno della professione che per tanti anni ha svolto con passione e umanità (il medico chirurgo), la triste storia di una bambina cardiopatica e di uno scandalo di "bustarelle" all’interno di un ospedale.
Anche "Mario" rientra nei capolavori della canzone jannaciana, una canzone scritta da Pino Dosaggio e scoperta, per caso, ascoltando la radio di notte. Enzo l’ha valorizzata al massimo con un'interpretazione sublime e drammatica allo stesso tempo. Il protagonista è un triste personaggio con propositi suicidi, propositi da cui Enzo lo fa desistere ("ma lo stesso, io dico, dov’è che si cambia sparandosi un colpo qui, in testa? Lascia fare alla vita questa vecchia fatica, siamo feriti quanto basta”). A Enzo Jannacci va anche il merito di avere portato alla ribalta il non ancora famoso Paolo Conte coverizzando due sue composizioni fra le più geniali, "Bartali" e "Sudamerica", due pezzi sui quali non penso sia il caso di spendere parole superflue.
"La poiana", si può dire, è l’unico "divertissement dell’album, una ironica canzone sui cacciatori scritta e musicata anni prima con Dario Fo. Ma il pezzo più drammatico e lirico è quello che chiude l’album, e cioè "Ecco tutto qui", dove l'intensità della musica si sposa perfettamente alla drammaticità del testa ("Strana la vita, ma è come se la vita fosse un modo di morire…").

Anche la copertina è molto bella, con un ritratto di famiglia (e del gatto…) in pattini, tra l’altro con la prima apparizione "pubblica" del figlio Paolo, un altro personaggio su cui vale la pena dire che è diventato un signor musicista, un ottimo polistrumentista e un grande arrangiatore.
E ora voglio ripetere quanto scritto alla fine della scorsa recensione su Jannacci: RISTAMPATE QUESTO DISCO!!

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