Parigi, anno 1996. Mentre gli Air sognano safari lunari e i Daft Punk modellano i primi blips'n'clicks in cerca di gloria, due tizi sfornano un'alchimia sonora irripetibile. Un composto di filtri house (molto deeeep), miscele elettroniche e proiettili da dancefloor. Pansoul. Creatura irripetibile perché i due tizi, sgamati da un pezzo, che rispondono ai nomi di Philippe Zdar ed Etienne De Crecy diventeranno noti con altre produzioni (Cassius, Superdiscount, etc. ) ma non arriveranno più ai livelli di questo primo ed unico lavoro firmato Motorbass.

Siccome la cosiddetta "french wave" esploderà di lì a poco conviene aggiungere qualche nota sui due pionieri. Philippe - immigrato del sud - trascorsi da batterista in una band di speed metal (ecco perché "Motorbass") frequenta la stessa scuola di Etienne. Entrambi si fanno gli amici giusti; da Mc Solaar a James Lavelle passando per DJ Cam. Talentscout nonché produttori coi fiocchi i due fondano l'etichetta Source Lab e lanciano, tanto per gradire, gli Air e Dimitri From Paris. Nel frattempo, persi in produzioni underground, party clandestini e notti vissute nei club dei bassifondi, in piena estasi creativa e nel fermento di un suono in embrione realizzano "Pansoul?". Un viaggio sonoro dal fascino inquieto e d'incerta destinazione. Chicago forse, con approdo a New York e visita d'obbligo a Detroit. Di seguito alcuni frammenti dal taccuino di viaggio di un naufrago. "Fabulous" si annuncia all'imbarco. Nell'aria c'è tensione. Si parte turbati da glitches diagonali e ritmi balordi. Giusto il tempo per salutare l'amico "Ezio" con un brano che sembra infinito. Ritmo sintetico a levare, semplice e memorabile. Piedino che batte e ribatte, impaziente prima e turbato poi da vocine di femmina. Tutto fuorchè rassicurante.
Presagi moltiplicati quando s'impone "Flying Fingers". Un carico di scratches in stile hip-hop e battute più pari che dispari. Ci si chiede, smarriti, come finirà? E qui arriva la prima ferita che lascia il segno. "Les Ondes" suona come un movimento abnorme di onde digitali. Spessi strati di loop inquieti si generano uno dopo l'altro. Ancora voci allarmate. Bites infami e suoni tagliati col cutter. E allora si vorrebbe evadere, cercare un approdo ma questa è una zattera e ogni cosa cambia colore. Diventa blu profondo tendente al nero. Oceano in tempesta. Ci si affida a "Neptune" il dio del mare. "Too late, too late", avverte una sirena. Inutile illudersi. Un riff obeso di basso e batteria squarcia l'orizzonte. Di nuovo tastiere bisturi e ritmi delfini. Impauriti e perduti non ci resta altro che? ballare. "Baby wanna dance?". Ancora lei duetta con un oscuro fraseggio di sax. Ritmica trattenuta ed irrefrenabile. Si resta sospesi tra paura e delirio. Si balla. Come se fosse l'ultima volta già sapendo che nulla suonerà più come prima. Stremati s'invoca un "Genius" che ci riporti a terra. La ritmica incalza un binario morto e per una volta sembra battere a vuoto ma è solo il preludio al climax di questo viaggio.

"Pariscyde" mai nome fu così appropriato. Intro cassa dritta ma poi succede di tutto. Tamburi ipnotici e tribali, grooves che si espandono, collidono e tornano ad implodere. Senso di panico diffuso. Un gemito sale dagli abissi. O forse è un lamento? Il vagito avanza, nudo e solitario. Diventa protagonista. Solo lui e rumori assassini. Attimi che sembrano eterni. Infine svanisce. Qualcosa di irreparabile è successo. A Parigi. Come in un film. "La Haine" di Kassovitz. Anno 1995. Il finale non conta più anche se di "Bad vibes" come queste ne vorremmo ancora. "Off" invece. I Motorbass non si concederanno più. Il viaggio è compiuto. Fuori. A Parigi. Nella periferia più profonda. E quello che hanno visto non deve essere stato gradevole. Perché, tracciata la rotta, i due tizi in buona compagnia hanno preferito perdersi nelle mille luci dei dancefloor parigini più "a la page".
Resta "Pansoul", documento sonoro che appare come un oscuro presagio. Cupo, temibile e incalzante. Spleen urbano tradotto in forma elettronica. Colonna sonora, se si vuole danzante, delle nostre metropoli. Da ascolto solitario e notturno. Ad alto volume. Immaginando quello che ancora dovrà accadere.

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