Una faccia, esattamente solo una, del poliedro Stati Uniti d'America. Una faccia determinante e determinata da quelle superifici che si sono intersecate per dare vita al rock degli anni 80. Questo è un disco passato un po' in sordina ma secondo me segna un punto di non indifferente importanza per la storia del genere per diversi motivi.

Richie Sambora ha tirato fuori il diamante dalla scarpa. Qui perde le fattezze di guitar hero dei Bon Jovi  (dopo anni e anni di successi conclusi dal tour dell'abum New Jersey) per vestirsi da se stesso. Il disco in questione - il suo primo da solista - gli viene da dentro. "Stranger In This Town" è un lavoro intimo e intimista, elegantissimo e ricercato, così americano, originario e radicale che a tratti ha la pelle rossa e a tratti sa di yankee.

Fondamentalmente si tratta di un salto indietro, di uno spiritual che viene da qualche decennio prima, dalla notte di quei tempi in cui gli indiani con la penna in testa si riunivano attorno al grande fuoco per fumare (beati loro!). Ma anche da una casa alcolizzata di Baton Rouge 1800, volendo.

È per questo, credo, per questo dimostrare di aver fatto il punto su un genere di nobile tradizione che Richie Sambora abbia deciso anche di cantare. Una deduzione azzardata, me ne rendo conto, perché il nostro canta benissimo, perché canta da sciamano e il suo richiamo, innegabilmente, comunque arriva nell'anima di chi ascolta rock in tutte le sue forme, dall'A.O.R. allo street.

Le vene che attraversano tutto l'album hanno un punto d'inizio in "Rest In Peace", dove atmosfere blues spazzate dal vento e canti echeggianti s'incontrano come elementi procreatori generando suoni che preparano il terreno ai tappeti interiori e ai dirompenti impeti che saranno. Un inizio semplice e spirituale, essenziale, seminale che lascia spazio al subentrare di basso, batteria e chitarra di "Church Of Desire". Che voce! verrebbe da dire già alle prime emissioni di ossigeno consumato che fanno vibrare le corde vocali di Richie. Lui, al contempo, fa vibrare anche le sei corde dello strumento che impugna con una classe priva di barocchismi, piena solo di se stessa. Infatti è un inizio di album per niente manierista, pomposo o bombastico come ci si potrebbe aspettare da un chitarrista proveniente dal mondo FM rock della east coast.

Anche il songwriting è degno di nota. Da artista / bluesman (abbastanza) maturo, Richie chiaramente non vuole parlarci di tette, culi, sesso e droga ma della ricerca di se stesso e di situazioni malinconiche.

Già con la titletrack, che segue "Church Of Desire", si entra nel fiume in piena del paroliere Sambora che, con un'aria un po' bohemienne, trova le parole che meglio possono accompagnare questa delicatissima ballad blues. "Stranger In This Town" è veramente un brano emozionante, probabilmente quello che meglio si collega anche all'artwork del disco. La foto di copertina con Richie solo sotto un lampione per una strada desolata - in un effetto seppia scontato ma ben fatto -, accompagnato dalla frase che apre il booklet sembra sia fatta apposta per la titletrack.

Un altro grandissimo brano, che fa capire cosa esattamente abbia dato Sambora, in termini di musica, ai Bon Jovi, è "Ballad Of Youth", un adult oriented hard rock (aor con una h in più) sferzante, incalzante e responsabile, rispettoso di quel rigore stilistico raffinato che si può riscontrare in tutto l'album.

A ruota il pezzo che il sottoscritto preferisce di più: parte la magia di "One Light Burning". È una ballad di cui si sentiva il bisogno, una riflessione sotto le stelle di un'estate torrida di giorno e umida di notte, un pezzo dove la malinconia lascia spazio alla speranza in un'atmosfera realmente coinvolgente e patemica.

Non c'è un colpo mancato in quest'album. Lo testimonia ancora un altro grande pezzo, di estrema classe, dal titolo "Mr. Bluesman". Ospite d'onore, proprio Eric Clapton. I due si intersecano alla perfezione, si avvolgono ancora meglio e se le cantano di santa ragione.

Siamo a "Rosie" e "River Of Love", i pezzi più r n'r di tutto l'album. Finalmente qui si sente un Sambora incazzato e urlante, decisamente bonjoviano. E ci voleva per completare questo salto indietro alle radici del rock 80. Per concludere questa istituzione - proprio così - Richie sceglie "The Ansie" dolcissima e delicatissima song di chisura di un lavoro che per me è una pietra miliare del genere. Un punto di arrivo e di partenza.

Complimenti sentiti vanno a Sambora per aver concepito un disco che non potrà mai avere eguali, perché è sincero, personale e sentito. È il disco di un artista che ne ha vissute tantissime con la band e ne ha maturate altrettante nei tour in tutto il mondo, che probabilmente avrà sempre vissuto da stranger in those towns.

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