Il ragazzo, lo si sarà intuito, è sufficientemente squagliato: è per questo che mi piace.

In questo fulminante esordio, espulso da Trovarobato a fine 2010, Iacopo Incani, 27 anni e unico depositario della bizzarra sigla in questione, dimostra personalità, intelligente eclettismo e tangibile qualità musico-scrittoria, in estrema sintesi, se ne fot*e (ops!) di come dovrebbe suonare un disco per cercare di raggiungere un minimo di commerciale riscontro, perlomeno all’interno del sempre più musico-imbalsamato patrio confine.

Eccezionalmente sbilenche, stridule, multiformi e cacofoniche le 12 tracce, costruite con l'ausilio di un campionatore, una loop machine e una scheletrica chitarra acustica, altro non sono che un feroce, allucinato e disincantato viatico all’interno della nostra avulsa quotidianità.

Il disco incuriosisce-diverte-e-cresce ascolto dopo ascolto, in una maniera nella quale stiamo perdendo l’abitudine sempre più ottenebrati dalla mass obliteration che ci attanaglia.

Una malsana boccata d’aria fetida: neanche all’Upim.

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