Quest'album crea non pochi problemi, tanto al semplice ascoltatore quanto a chi decide di scriverne una recensione. Inutile rimpiangere il passato della band, le sonorità new wave, l'hard rock degli ultimi anni, quelli a ridosso del declino, inutile arrovellarsi le meningi ripensando a canzoni indimenticabili come "Eroi nel vento", "Guerra", "Re del silenzio". I Litfiba 1999 sono quelli dello scialbo disco-pop di "Mascherina", dell'insulso pastiche simil-hip hop di "Frank", del rock anonimo di "Canto di gioia".
Nessun brivido, nessuna sorpresa, quest'album scivola via inosservato, e la sua utilità maggiore sarebbe forse quella di musica di sottofondo, da ignorare più che da assorbire. Deboli tracce di riscatto si riconoscono in brani comunque inferiori alla media come "Nuovi rampanti" e "Prendi in mano i tuoi anni", rovinati da testi insulsi e da un Renzulli ancora più prosaico del solito.
Gli unici momenti accettabili della raccolta sono la malinconica fantasia pop-psichedelica di "Vivere il mio tempo", e l'ipnotica conclusione di "Incantesimo", dov'è ormai l'elettronica a farla da padrone.

Insomma, un album che non ha nulla a che spartire con i veri Litfiba, un semplice compromesso discografico liquidato senza voglia e senza interesse. Un vero dispiacere, ad ogni modo, quasi una pugnalata al cuore.
I Litfiba di Gianluigi "Cabo" Cavallo non voglio proprio nominarli, a mio avviso per nulla migliori a quelli di quest'ultima prova con Pelù, capaci solo di speculare sul successo della sigla. Come direbbe il comico Alberto Patrucco, buio...

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