Per parlare di questo quarto disco della band di Montepulciano, scelgo di vivisezionarlo brano per brano. Chiedo scusa a tutti se questa scelta dell'analisi anzichè della sintesi mi farà dilungare troppo. Ma mi sembra il giusto modo per affrontare un album nato come un "mostro schizofrenico" di brani molto diversi tra loro, venuti alla luce come singole canzoni. Tuttavia scopriamo presto che, fin dal titolo e dall'occhio di Rachele scelto per illustrare la cover, un fil rouge che lega il tutto esiste eccome...

"E così sia": venticinque secondi per poche note al piano di pregevole fattura. Il silenzio che prelude ad un sound ancora più hi-fi, strong e grandioso del precedente "La Malavita".

"Colombo": quel Colombo, il tenente sguercio, l'investigatore in impermeabile che intercetta l'anima ai sepolcri imbiancati del patinato jet set di Los Angeles. E se avesse avuto Woodcock per titolo non faceva differenza... Il ritornello forse è un po' troppo tirato per le lunghe, ma musicalmente ha un chitarrismo assai catchy e travolgente, così che il pezzo riesce a girare.

"Charlie fa surf": Bianconi non è un Epifanio, è un vero. Assume Paroxetina, come fa il quindicenne che surfa nonostante i grandi ed i preti gli inchiodino a matitate le mani al banco di scuola. Si può quindi permettere di prenderlo per il culo (che in heavy rotation è coperto dal beeeeep: mi fa morire dal ridere sta cosa). Charlie è un cazzone. Come te che hai vent'anni in più, non c'è molta differenza, e non è colpa tua, nè sua. Più di un cerchio ha modo di chiudersi: quanto sono lontani i lubrici voyeurismi giovanilistici del Sussidiario! Singolone paraculissimo quanto si vuole, ma potente come una rete di Ibrahimovic.

"Il liberismo ha i giorni contati": titolo di cui i muri di certune città iniziano già ad esserne sprayati. Con con questa infilano un uno-due-tre da canzone pop perfetta. Testo killer. Irresistibile l'autoironia del Bianconi che "vende dischi in questo modo orrendo".

"L'aeroplano": pilota la sola Rachele. Sarà per la malinconia del suo espandersi nel cosmo, non so, al momento è tra le mie preferite. Vola sull'Iraq, lo fissi allontanarsi nell'immensità e tutto ti sembra senza senso, gli anni che hai buttato dietro la fiamma della tua vita, le lacrime che ci hai versato sopra. Cosa resta? A cosa serve l'esperienza che ora hai maturato? Il vuoto dell'insensatezza dell'esistenza è tutta nello struggersi di quell'aeroplanino, così totalizzante che nemmeno l'amore vale come ragione.

O forse no? "L": dall'astronave a pochi metri sopra il cielo (altro che Moccia!) captano dovunque segnali del tuo amore. E' la tua Laura che lascia tracce dappertutto. In Iraq torna la pace. Musicalmente una "Beethoven o Chopin" parte due.

"Baudelaire": come Charlie, anche questa sarà odiata a morte. Non si è mai sentito un citazionismo del genere, ma ad uno che per invitarmi a fare della mia vita un'opera d'arte, mi ricorda che "nei fiori dei campi vive Piero Ciampi" io perdono tutto, compreso l'inutile sbrodolata del finale Subsonichesco. E non mi commuovo solo perché non ci si può commuovere quando ti regalano tanta urgenza di vita da uscire subito a spargere semini di fiori del male che vorrai veder rifulgere rigogliosi.  

Però poi ti sarà difficile trattenere le lacrime su "Alfredo": se su questo valzerino non piangerai, o non hai un cuore o nell'81 non eri ancora nato. Ritrovi la vecchia scatolina di quando eri pischello, il carillon che, tra mille riverberi De André, ti mostra i fotogrammi sepia-tone di un'Italia che, con la stessa malapolitica di oggi, affonda come il bimbo caduto nel pozzo. E un Dio sordo al suo richiamo ed alle preghiere di un'intera nazione. Tema, questo, ricorrente di tutto l'album, il bisogno del Sacro che cerchi, cerchi e cerchi disperatamente e inconsciamente nella tua atea devozione, ma non riesci a trovare. Tu l'avevi rimosso questo ricordo, sapevi già che Alfredino l'avrebbero tirato in salvo: tutte le storie in TV finivano bene. E invece, per la prima volta, scopri la morte: te la mandano in diretta, coniando il format che, da lì, ci avrebbe sommerso di tante e tente deiezioni televisive come plastici di Cogne, scalinate di Garlasco, coltelli di Perugia... Forse, il picco della carriera del Bianconi autore.

"Antropophagus": altro potenziale singolo vincente. S'invola epica come fece "I provinciali". I romeni, i russi e i lituani nella Milano di Corso Como, che è la stessa della Stazione Centrale, dove tra una Peroni e una scatoletta di tonno si consuma un pasto alla Hannibal! Mooolto Pulp! E non quelli di Jarvis Cocker, una volta tanto! Qui dove lo metteranno il beeeeep le radio?

"Panico!": Rachele e Francesco giocano a duettare come Nancy Sinatra e Lee Hazlewood. Al povero grande Lee è del resto dedicato il pezzo. Che ha preso il contagio "These boots are made for walking" e ce lo attacca pure a noi. Suona proprio identica a quella! Ma è il suo bello. Perché ci fa respirare un attimo in mezzo a tanto male di vivere. Effetto Xanax.

"Dark Room": autore la poetessa Francesca Genti. Canto spezzato à la "Revolver". Suadente bossanova della sola Rachele che porta i versi nell'olimpo dove lei è unica dea, sebbene ne invochi altri al buio di un privé dalla musica brutta e stupida, dove finisce invece per consumare un incontro sbrigativo e spersonalizzato come una sigaretta fumata e schiacciata nel parquet. Perchè gli dèi della vita sono cattivi ("La vita va"): altra disillusa marcetta baustelliana che la Bastreghi scandisce fra rintocchi di campane noir anni 70.

"L'uomo del secolo": altro addio, quello di un centenario che schifa il mondo quanto noi. Che poi è il nonno di Bianconi. E sti cazzi direte voi. E invece si sente che il brano è una dedica sincera.

"Andarsene così": introdotta da un soffice e jazzato pianismo italo-house, con pubblico e fischietti festanti sul fondo che pare quasi un rave in ketamina. Sospensione che fa temere l'arrivo di una tamarrata techno 4/4 e invece s'invola barocchissima di violini e clarini che manco Rondò Veneziano..! Chiosa che apre uno spiraglio di speranza (come fu "Cuore di tenebra"), rappresentata dal coraggio di un escapismo amoroso da provare a rendere assolutistico e divino.

E, in negativo (cioè si mandi in rewind prima della traccia 1) "Spaghetti western": intelligente la scelta di sbanalizzare questo titolo con un testo dove davvero di spaghetti si parla! Quelli coi pomodori coltivati da extracomunitari che per lavorare sopportano ogni tipo di angheria, ma purtroppo il deserto di Foggia non è quello di Sergio Leone e non c'è nessun Lee van Cleef o nessun Clint Eastwood a fare da giustiziere. Così, con una sfrontatezza quasi punk, fra chitarre twang e il fischio del maestro Alessandroni (quello delle soundtrack di Morricone) sfila l'ennesima amara polaroid dei nostri tempi.

Qui ed Ora (ovvero in questo momento in italietta) non c'è nessuno sui livelli di questo disco. Ora che ho finito i miei appunti, se dicessi che questo album è un capolavoro sarebbe esercizio di stile come se lo stroncassi. Come spesso accade quando si toccano corde troppo personali, queste canzoni non si possono recensire. Si può solo consigliare, con delicatezza, di abitarle. Per poi odiarle magari. O per adorarle come un feticcio.

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