Rieccoli, i Prodigy: 7 anni dopo i fasti di "The Fat Of The Land", album che ha segnato lo scorso decennio e che ha messo definitivamente la parola "fine" ad ogni barriera tra rock ed elettronica, arrivando contemporanemente alle grandi masse.
Quei Prodigy erano un fenomeno che, per quanto di breve durata ma di altissima intensità, aveva fatto apparire obsoleto tutto ciò che si ascoltava prima, un pò come il punk del 1977.
Morto il britpop, eclissatosi il grunge, era il faccione terrifficante di Keith Flint a dominare le charts al suono martellante dei grandi hits come "Firestarter", "Breathe" e la "scandalosa" "Smack my bitch up".
Ma erano gli anni '90 e da allora molte cose sono cambiate e sono cambiati anche i Prodigy, dispersi in progetti solisti non sempre riusciti e resuscitati momentaneamente per un singolo tutto da dimenticare ("Baby's got a temper").
Questo album del ritorno in realtà è un disco di Liam Howelett, il "cervellone" che sta dietro a tutto il progetto: già in passato in fondo Keith e Maxim erano più che altro dei frontmen, ma in questo rimandatissimo "Always Outnumbered Never Outgunned" la loro presenza, che in ogni caso conferiva un elemento determinante per la personalità della band, non si avverte in nessuna delle 12 tracks. Forse Howelett ha preferito "svecchiare" l'immagine del "suo" gruppo, ma non sono sicuro che i vecchi fans abbiano gradito la "novità": il risultato è che, se mancano i due saltimbanchi, abbondano invece le guest stars, da Kool Keith all'attrice Juliette Lewis, fino a Liam Gallagher, cognato di Howelett.


L'iniziale "Spitfire" parte un pò in sordina tra un potente vocalizzo della Lewis, un sample di tastiere che ricorda molto da vicino il Justin Timberlake di "Like I Love You" e una batteria secca che fa molto White Stripes ect ect.
"Girls" il pezzo più convincente del disco e giustamente estratto come primo singolo, splende di una luce propria. Spacca davvero. Emana potenza, lussuria, pornografia:in poche parole, quello che ci si dovrebbe aspettare dalle sonorità dei Prodigy.
Le restanti tracce non sempre mantengono questa tensione positiva anche se non mancano dei picchi di adrenalina,come nel caso di "Memphis Belle", sorta di raffinato garage impreziosito da percussioni taglienti e una straniante sequenza di campanelle.
In "You will be under my wheels", Howelett gioca a fare un pò il Fatboy Slim, mentre la dura "Wake Up Call" è la track che si avvicina di più ai precedenti dischi dei Prodigy, con delle reminiscenze da "Serial Thrilla" e le sonorità rock di "Music for jilted generation".
"Medusas Path",con una intro davvero curiosa, è un ballo tribale metropolitano che non smaltisce mai la tensione che accumula; "Get Up Get Off" vorrebbe far salire l'adrenalina a mille ma risulta un pò debole; "The Way It" presenta un campionamento molto simpatico da "Thriller" di Michael Jackson,ma per il resto non è certo indimenticabile.
"Pheonix" è invece uno dei brani migliori, quello che più si avvicina alla definzione tradizionale di "canzone", senza però tradire il sound della band. "Hotride" sarà il prossimo singolo, a ben ragione:la voce di Juliette Lewis è eccezionalmente catchy e il brano è un rock 'n' roll tirato al punto giusto con un refrain anche troppo orecchiabile.
In "Action Radar" si respira odore di anni '80, di Gary Numan, di Devo, forse un omaggio alle influenze di Howelett; chiude l'album l'epica "Shoot Down" che vede la presenza di Liam Gallagher come vocalist, a suo pieno agio in un potente rock psichedelico quasi à la Black Rebel Motorcycle Club in cui davvero non riconosceresti la mano dei Prodigy.
Un disco da ascoltare con 3-4 gran bei pezzi e qualcun altro perlomeno interessante e curioso: ma dove sono Keith e Maxim?

Carico i commenti... con calma