Molte volte quando si legge la recensione di un album (e qua mi riferisco a DeB e ai nostri colleghi su TrueMetal), stiamo a sentire il recensore che ci spara la storia sull'album, gli aneddoti, l'importanza storica, cosa ha mangiato a colazione questa mattina e via discorrendo.

Insomma ci dice tutto, tranne questo disco come si "sente a pelle". Beh... mi spiace deludervi, ma non è per nulla facile far capire cosa rappresenta questo disco

Sì, perché dovete sapere che far immaginare il sound di questo album a chi non lo ha mai ascoltato equivale a cercar di spiegare la differenza tra il rosso e il blu a chi è cieco dalla nascita.

Già stabilire il genere è un problema serio: all'epoca (1987) fu coniato il termine "metal d'avanguardia", pienamente meritato: in effetti, "Into the Pandemonium" sta alla musica come la follia di Warhol sta all'arte.
Però è più semplice definirlo semplicemente come "metal estremo", perché questo disco è estremo in tutto, atmosfera, complessità musicale, durezza in senso lato, innovatività, insomma in qualsiasi senso che "estremo" può avere.
Cerco di sintetizzare: "Into The Pandemonium" è un Opera. Una magnifica opera che varia dal metal più puro alla psichedelica più allucinata e stravolta. In questo fondamentale capitolo Tom G. Warrior & Co mostrano un livello di qualità espressiva sino ad allora raggiunto da pochi. Giocano ad allargare gli orizzonti dell'estremismo musicale, ed in una scena dove suonare al limite significava troppo spesso proporre un thrash lineare, piatto, monotematico (vedi Possessed, Venom).

È un disco che è addirittura avverso all'ascoltatore, che cerca in tutti i modi di distoglierlo dal suo tentativo di comprenderlo. Nessuno, e dico nessuno, ha mai avuto una grande impressione al primo ascolto: dibattuti generalmente tra il disappunto e una non meglio precisata sensazione di "stranezza" del disco, più che di vero valore, solo la minoranza che ha proseguito a riascoltarlo più e più volte lo ha assimilato come ciò che è, ovvero un capolavoro.
I riff tendono ad avere poca simmetria, le note appaiono disordinate, non rispondenti a nessun organizzazione razionale della melodia, l'impressione è di totale abbandono passionale da parte di chi ha composto. Naturalmente è solo un'impressione, perché per superare l'avversione iniziale l'attenzione al dettaglio compositivo deve essere tripla rispetto a lavori dalle strutture più convenzionali. Così via libera a riff di batteria sbilenchi, a tonnellate di cambi di tempo, a ritmi strani, a battute suonate a velocità a volte innaturale, tanto da apparire inquiete piuttosto che potenti, a controtempi e a inserimenti di sonorità normalmente inutilizzate.

Volete un esempio? Ascoltate la track "One In Their Pride". Una batteria elettronica a metà tra l'house e la dance, acuti e sgraziati violini e una voce campionata che ripete ossessivamente il titolo della song. E hanno già creato un'atmosfera di paranoia, che poche volte nel metal ha raggiunto quel livello.

Da lasciare ai posteri.

"Non mi interessa se siamo i più pesanti o i più leggeri, i più commerciali o la band più poser.

 Noi proviamo ad essere differenti, ad essere qualcosa di nuovo.”

Tom G. Warrior, 1986

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