Il suono dell'occulto

ovvero il malato misticismo del Duca Bianco

C'è un uomo sul palco. Ha lo sguardo allucinato, i capelli ossigenati lisciati all'indietro, è vestito come un personaggio da cabaret della Repubblica di Weimar. Una luce bianca staglia la sua severa figura sul fondo nero, dove viene proiettata l'immagine di un'occhio lacerato dal rasoio (Bunuel-Dalì, "Un Chien Andalou", 1928). Una musica ossessionante e martellante si muove alle sue spalle, e il cantante annuncia al mondo "il ritorno dell'esile Duca Bianco". Il Duca Bianco è lui, David Bowie, e all'inizio del 1976 le voci che girano sono tante, leggendarie, incredibili, distorte.

L'artista è nel pieno del cosiddetto "tunnel della droga", e come se non bastasse ha una malsana passione per l'occultismo e per l'immagine ideale del dittatore nazista. Si dice che, appena finì di interpretare il distaccato alieno del film "L'Uomo Che Cadde Sulla Terra", si lanciò nel misticismo, nella Kaballah ebraica, nell'egittologia e nel militarismo. Il personaggio che si è creato è veramente circondato da un alone occulto, e storie come l'esorcismo della piscina, lo sperma conservato in freezer e l'orina in bottiglia, i messaggi segreti nelle copertine dei Rolling Stones, le candele nere e le foto stregate, e altre amenità demoniche non fanno altro che aumentare la leggenda impazzita di David Bowie, anzi del Duca Bianco.
Immaginate come possa uscire un disco da un'atmosfera inquietante come questa: a proposito delle sessions di "Station To Station" ci sono racconti molto interessanti da parte dei più stretti collaboratori, anche perché Bowie ancora adesso dice di non ricordarsi di aver fatto questo album, sa che l'ha inciso a Los Angeles perché l'ha letto... ero fuori proprio di brutto ci racconta, e ancora ascolto 'Station To Station' come se fosse un'opera di una persona completamente diversa.
Bowie esce dal periodo soul completamente disilluso riguardo allo show business, definisce la musica rock un noioso vicolo cieco, una vecchia sdentata e inizia a lavorare sul disco con un approccio completamente nuovo: quello di un'assoluta libertà artistica da parte dei musicisti e di un esagerato perfezionismo da parte sua. Si lavora e si sniffa per giorni di fila senza pausa in un clima più che tenebroso, irreale, assolutamente irreale, ricorda il Duca nell'83, con le tende sempre abbassate per non rischiare che la luce rovinasse la vibrazione di eterno presente.

Ora è tempo di passare alla musica. Cosa dire? Le canzoni sono "solo" sei ma il mondo che creano è eterogeneo e contrastante: i suoni sono nuovi e antichi, pre-elettronici e classici. L'incipit è uno meglio riusciti per un disco di Bowie: la title-track spazia dai ritmi meccanici del nuovo sound mitteleuropeo ai tiratissimi assoli di Slick e Alomar, mentre dal punto di vista tematico si introduce il personaggio del Duca Bianco, indefinito e leggendario come quelli passati, forse una specie di nobile alla ricerca di una nuova spiritualità che si sposta lungo le tappe della Via Crucis, oppure che compie un viaggio simbolico attraverso l'Albero della Vita della tradizione cabalistica ("From Kether to Malkuth"). Le capacità espressive e poetiche nel "can(n)one europeo" sono quasi al massimo storico e il clima di paranoia, ossessione e gelo che queste riescono a farci percepire è unico (per fortuna che non sono gli effetti collaterali della cocaina, penso che si tratti di amore!) "Golden Years" invece ci presenta quest'opera come un lavoro di transizione: le sonorità sono più danzerecce e il falsetto del cantante è all'altezza del precedente "Young Americans". Il suo studio vocale è perfezionatissimo e dà le prove migliori con la successiva "Word On A Wing", struggente e disperata preghiera di salvezza in cui il Duca chiede di entrare a forza nello schema di Dio.
Ma non è ancora il momento di ricevere questa "benedizione", e con "TVC15" si torna su toni isterici, deliranti, malati ed alla lunga monotoni. "Stay", che alterna una strofa ben ritmata e veloce ad un ritornello più da crooner, è diventata un classico della produzione bowiana, soprattutto per gli efficaci riff alla chitarra. L'ultima "Wild Is The Wind" è una cover del grande autore di colonne sonore Dimitri Tiomkin e chiude l'album in modo degno, trasportandoci nelle atmosfere fumose e romantiche di un raffinato film hollywoodiano anni '50, fatte di "love me" sussurrati e sospiri pianistici.

Anche a me piacerebbe dire che con la musica di Bowie you touch me, i hear the sound of mandolins, you kiss me, with your kiss my life begins, ma questi suoni portano direttamente alle tenebre più profonde dei nostri animi, e non vediamo più la luce se non dopo la lenta disintossicazione berlinese...

da "Station To Station"

"The return of the Thin White Duke
throwing darts
in lovers' eyes
Here are we one magical moment
Such is the stuff from
where dreams are woven
Bending sound
Dredging the ocean lost in my circle
Here am I
Flashing no colour tall in this room
overlooking the ocean

Here are we
One magical movement
from Kether to Malkuth 1
There are you
You drive like a demon
from station to station"

Citazioni e informazioni da "The Complete David Bowie" di Pegg, testi da VelvetGoldmine.it

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