Lo so, lo so, di recensioni dei Manowar il sito è relativamente pieno (anche se per ora i Queen sono irraggiungibili) e questo album in particolare ne conta già tre (anche se " due e mezzo" sarebbe più corretto : D), tuttavia non avendone ancora vista una esaustiva ed essendo questo uno dei primi album che mi iniziò al metal, ho deciso di tentarne un' analisi, ben consapevole che i Manowar, eccetto alcuni fans oltranzisti, i grandi Defenders of steel, non sono visti di buon' occhio dal resto del mondo a causa delle accuse nei loro confronti di fascismo, autocelebrazione e quant'altro.

Ciò non toglie che l'album, uscito 6 anni dopo il già buon "Louder Than Hell", si apra nel migliore dei modi con la a mio avviso splendida e sottovalutatissima "Call To Arms", vera summa del Manowar- pensiero, con il ritorno a casa dei Kings Of Metal che chiamano a raccolta tutti i loro adepti, i quali approvano rumorosamente con i soliti, magistrali cori mentre è incessante il martellare del basso di DeMaio.

La track successiva, "Fight For Freedom", è la giusta continuazione di chi l'ha preceduta, ma senza lo stesso coinvolgimento emotivo, mentre "Nessun Dorma" è un divertente e tutto sommato dovuto esperimento dei Manowar con una discreta prestazione vocale in italiano del grande Eric Adams. Dopo la discreta "An American Trilogy", altro tributo, stavolta al padrino del rock Elvis Presley, che si rivela "soltanto" godibile, arrivano in fila due capolavori assoluti anche se antitetici nella forma: "Swords In The Wind", oserei dire batte perfino la sua fonte ispiratrice, la tanto celebrata "Master of the wind" di "Triumph of steel", ed è una delle migliori ballad su tema di guerra mai prodotte dal gruppo di New York.

La title track è invece monumentale, una delle migliori canzoni in assoluto dei Manowar con mostri sacri come "Hail and kill" o "Brothers of metal", con un lavoro incredibile di Adams, di De maio e del coro, con un'intro scandita dal basso e dalla batteria a dir poco epico, ed una parte verso la fine quasi sussurrata in cui il cantante implora i suoi compagni di dire alla sua famiglia come venne ucciso in battaglia e giura che finchè ne avrà la forza, combatterà fino alla fine, e poi riattacca di nuovo con l'incredibile ritornello. Ovviamente frasi del genere possono essere prese come pagliacciate o tamarrate fini a se stesse a un primo sguardo, ma se le si riesce a collocare nella quotidianità di oggi, si scopre che hanno una certa attualità ; esiste comunque gente che avendo letto due testi a caso bollerà per sempre i Manowar come dei falliti o nel migliore dei casi, dei montati. Il disco si conclude comunque con una tripletta anch'essa di alto livello, "Hand of doom", "House of death" e l'altro capolavoro del cd "Fight until we die", tutte e 3 contraddistinte da un basso schiacciasassi e la chitarra al fulmicotone di Karl Logan che bada poco a tecnicismi e molto al sodo.

Concludendo la rece che in effetti dopo averla riletta un po' lunghina lo è, vorrei semplicemente consigliare questo album, magari non tutto ma solo qualche canzone, a quelle persone che dei manowar non li conoscono o li hanno sempre bollati negativamente per colpa di pregiudizi (i loro fan ovviamente lo conosceranno a memoria e avranno su di esso opinioni discordanti); se c'è un album leggermente più easy-listening eppure contemporaneamente di ottimo livello globale, è questo. 4, 5 sarebbe il voto, non vado sul 5 perchè rappresenta la perfezione, e questo è un gran album, non un album perfetto.

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