Atteso da oltre quattro anni, e annunciato improvvisamente i primi giorni di ottobre dal sito http://www.inrainbows.com/, esce - per ora solo in download digitale - il settimo album di Thom Yorke e soci creando una bufera mediatica e scompiglio totale nel mondo dell'industria discografica.

Il disco infatti esce senza l'appoggio di alcuna etichetta o major qualsivoglia e viene addirittura offerta al potenziale acquirente la possibilità di decidere il prezzo da pagare. Inoltre viene venduto - sempre dal sito sopra segnalato - un lussuoso discbox, ossia un set di 2 cd e 2 vinili (con inclusa la possibilità di scaricare gratuitamente la versione digitale dell'album) a 40 sterline, circa 60 euro, che sarà inviato agli acquirenti intorno alla prima settimana di dicembre. Anche quest'operazione viene attuata senza l'apporto di alcun distributore.

Insomma una vera rivoluzione di management discografico, ma d'altronde i Radiohead alle rivoluzioni ci avevano abituato da tempo immemore, anche se ad oggi quelle "scosse telluriche" erano state sempre e solo a livello artistico. Nessuno quindi si aspettava una mossa del genere, men che meno i discografici, che paradossalmente stanno elogiando la politica degli oxfordiani più famosi del mondo adducendola ad esempio per una visione prospettiva di quella che potrebbe essere la discografia del domani. Insomma per farla breve, i Radiohead sono saltati sul treno di quelle opportunità che le major si sono fatte passare davanti, arenandosi di fronte alle lungaggini di farraginose e obsolete gestioni dei "politicanti" del disco. E forse i dati che trapelano in questi giorni li danno trionfatori veri con - così si mormora nel web - quasi oltre 10 milioni di download solo in un giorno.

Ma che dire del disco rock più atteso negli ultimi quattro anni?

"In Rainbows" non poteva non sorprendere. Ma questo era prevedibile. Diciamo che nel loro "essere innovativi", "essere al di sopra di tutte le convenzioni", "essere super partes" i Radiohead sono stati prevedibili. Un disco che si apre con un synth tribale e delle distorsioni più un riff di chitarra quasi jazz e la voce di Thom calda e affascinante come sempre. E a metà un organo che delinea suggestioni quasi epiche e immagini notturne. E' "15 Step" ed è un piacere ritrovare gli amici attesi di sempre. Sono ancora loro, sì. Poi all'improvviso la chitarra fuzz di "Bodysnatchers" rompe l'estasi e improvvisamente i Radiohead tornano al rock, quello psichedelico, ossessivo di brani come "National Anthem". Un mantra di suoni, echi e vocalizzi quasi spettrali. Il caos.

Si torna alla delicatezza di antichi capolavori come "Exit Music", "Lucky" e "Pyramid Song" con "Nude", terza traccia. Minimale l'apertura, ma il "crescendo" è annunciato e il finale è da pelle d'oca. Ritmi serrati, batteria secca e chitarra acustica aprono "Weird Fishes/Arpeggi" che si dipana in un cantato sofferente ma più convenzionale (sempre alla maniera loro). A metà il brano rallenta e poi riprende in un susseguirsi di emozioni continue, quasi in loop. "All I Need", quinta traccia, è quasi una ballata vicina alle cose più fruibili di "OK Computer" ("Karma Police", "No Surprises"). La voce è quasi proiettata in una dimensione paradisiaca, i suoni elettronici di uno xilofono gentile pennellano lo sfondo sonoro che alla fine avvolge interamente il cantato, quasi fosse risucchiato dagli strumenti. "Faust Arp" è una delle canzoni più intense del disco. Cantato ossessivo su un meraviglioso tappeto di archi. Quasi bucolica l'atmosfera generale. Sembra quasi di sentire degli echi di Arthur Lee e i dei suoi Love che negli anni 60 stravolsero il pop. "Reckoner" col suo ritmo quasi industriale viene impreziosita da una lieve chitarra acustica e dalla voce in falsetto che disegna una bellissima linea melodica di straordinario impatto emotivo. Forse insieme al brano che lo precede si toccano apici di suggestione unici. Siamo a livelli di "Paranoid Android" per intenderci.

L'ottava traccia "House Of Cards" parte quasi jazzata, ma la perversione è alle porte. La voce disegna ancora una volta trame ossessive e gli arrangiamenti si fanno sempre più psichedelici, con echi di sottofondo quasi spettrali. La contraddizione nella consuetudine. Molto più convenzionale l'intro di "Jigsaw Falling Into Place" che è quasi pop puro, con un cantato delicato e avvolgente che diventa man mano ossessivo in un formidabile crescendo e si chiude con un bellissimo arrangiamento corale. Chiude l'album "Videotape" con le sue trame soffuse e avvolgenti, a metà brano quasi rapite da un synth ossessivo e un pianoforte sempre più intenso che chiude in bellezza i 42 minuti di musica di "In Rainbows".

Una nota curiosa: i brani sono tutti piuttosto brevi rispetto alla media delle ultime produzioni della band. Anche questa una "rottura negli schemi" per una band che definire epocale sarebbe quasi offensivo. I Radiohead sono mille miglia sopra tutto e sopra tutti. Hanno superato la fisicità della musica e ci hanno regalato ancora una volta delle sensazioni indefinibili. Ascoltarli fa sembrare tutto così irreale. Sono la terapia contro le brutture della nostra esistenza.

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