Riposano in pace. Qui sono le 10.00 della mattina e a Montreal è notte fonda, quindi dormiranno di certo. Non ho intenzione di pensare a un necrologio perché mi basta quello che gli Arcade Fire hanno scritto come booklet per il loro album. E sorrido. Funeral è un paradosso. Dovrebbe esprimere mancanza, perdita, scoramento. Invece suona talmente euforico e life-affirming che è impossibile non farsi succhiare le orecchie dalla voce “aliena” del front-man Win Butler e da quella della moglie Régine Chassagne che pare abbia cavato la trachea a Bjork sostituendola alla sua. Nell’ultima canzone – In the backseat – sembra proprio Bjork; per questo ho scoperto che Win ha una moglie, che sua moglie suona con lui, che si chiama Régine e il resto. Insomma, non ci resta che piangere sarebbe un commento sbagliato per un album che si è sottoposto a una flebo di Talking Heads, leggera però e molto poco cerebrale, e un’iniezione esplosiva di Pixies.

Funeral riesce a fondere divinamente movimenti orchestrali con impulsi offbeat; incipit melanconici e sperimentali che fanno l’occhiolino ai Wilco per poi lanciare colpi di coda post-punk che impennano direttamente sui letti dei Pretty Girls Make Graves. C’è una canzone che potrebbe essere l’epigrafe di questo parto multistrumentale: Crown of love. Comincia con una languida melodia sottolineata dal battito cadenzato di un pianoforte in cui la voce di Win racconta pene d’amore, per poi virare di colpo su ritmi da disco che afferrano la canzone per la gola e la tirano su di peso. Questo non è un esordio, ma un disco molto vicino alla parola fine. Come l’esordio dei Fiery Furnaces del resto.

Carico i commenti... con calma