"La Graine et le mulet" di Abdellatif Kechiche (questo è il suo titolo originale) è un bellissimo ed intenso film che che ruota attorno alle vicende della famiglia del 61enne Sliman Beji. E' la storia di un tentativo di riscatto di una famiglia di immigrati in un paese straniero, poco importa da dove vengano o dove siano ora; se non nei colori delle loro stanze o nei profumi delle loro cucine.
Marsiglia fa infatti solo da sfondo a questa vicenda di nordafricani, russi ed italiani che vivono in Francia come una grande famiglia, contrasti e contraddizioni compresi.
E' un film di sorrisi, silenzi, pianti, urla e tavole imbandite. La macchina da presa difficilmente ci mostra completamente i protagonisti della vicenda proprio a voler quasi rubare le emozioni di questa (non qualsiasi) famiglia. Non a caso lo sguardo del regista si fa più freddo e lontano proprio quando i protagonisti escono dal familiare ventre materno fatto di matrone rompipalle e tuttofare e di uomini laboriosi (ma anche no).
L'universalità della vicenda infatti è proprio nella speranza, negli occhi dei protagonisti o nei volti lunghi quando affrontano delusioni. Non sbaglia chi azzarda a dire che si tratti di una sorta di film neorealista, non a caso il protagonista (Habib Boufares) non è un attore professionista.

La vicenda, dicevo, tratta della (di dimensioni ciclopiche a dire il vero) famiglia di Slimane 61enne separato con figli da un primo matrimonio ed ora convivente con una donna separata con figlia. Slimane viene licenziato e decide di aprire un ristorante etnico per tentare di dare un futuro ed un riscatto sociale alla sua prole. Sarà la famiglia ad aiutarlo e sarà la famiglia a contrastarlo in questoprogetto mostrando così vecchie e nuove ferite che scorrono tra le piccole stanze e camere d'affitto.
Della cucina si occuperà la ex-moglie che prepara un cous cous come nessuno sa. Slimane stesso ed i figli si occuperanno di recuperare una vecchia nave (dove si aprirà il ristorante) di trovare i permessi ed il denaro, e, visto che la loro vita ruota tutta attorno al porto di questa piccola città nei pressi di Marsiglia, non sarà difficile preparare un ottimo cous cous a base di pesce fresco. Gli amici suoneranno nella serata di presentazione alle autorità del ristorante stesso.
L'esilità della trama in realtà nasconde un'intreccio di vicende familiari appassionate ed appassionanti. Tra mariti fedifraghi e precarietà sociale e quindi esistenziale. Sarà la danza del ventre della figlia acquisita dalla seconda relazione Olfa (e mal sopportata di figli della prima moglie) a dare un parziale e momentaneo sollievo.
Un film necessario, forte, sensuale e solare è questo Cous cous, fatto di donne non belle e quindi bellissime, del resto, se il cous cous non è piccante non sa di niente.
L'importante è non considerare questo film etnico solo perchè ambientato tra immigrati lo stesso Kechiche ci dice, parlando dell'accoglienza trionfale ricevuta da lui e dal suo film: "Non finché mi definiscono regista arabo-francese. Vorrei essere regista e basta".

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