"The queen of hearts is back in town, the queen of hearts still wears the crown..." Mandare avanti la nobile eredità del leggendario quartetto era un'impresa ai limiti dell'impossibile, i demiurghi Benny e Bjorn non ci hanno neanche provato e Frida ha desistito dopo un approccio timido, tutt'altro che convinto e convincente, ma Agnetha... lei forse avrebbe anche potuto farcela, lei era la regina di cuori, il volto e la voce carismatica degli ABBA: bella, amabile, brillante, una vocalità gioiosa ed argentina capace di risvegliare i morti, eppure, senza considerare la sua vasta produzione in madrelingua anche precedente alla formazione del combo simmetrico più famoso della storia, Agnetha Faltskog solista rimane un oggetto misterioso. Cambiano gli anni e cambiano le mode, questo è vero, molte proposte ben meno meritevoli della sua hanno ottenuto molta più attenzione ma oggettivamente gli album solisti post-ABBA di AF non hanno poi molto da offrire se non qualche singolo gradevole e divertente, ed anche lei dopo qualche anno decide di gettare la spugna concedendosi un buen retiro interrotto solo da "My Colouring Book" del 2004, cover album di vecchi classici jazz/swing non esattamente memorabile. Una carriera decisamente in tono minore per una delle figure più iconiche della storia del pop, che però nel 2013 riesce inaspettatamente a concedere un finale a sorpresa, per la gioia dei suoi più devoti fans (modestamente...) e di pochi altri, ma in fondo va bene così.
63 anni e non sentirli: la signora Faltskog è sempre lei, con lo stesso sorriso, la stessa semplicità, la stessa voce inconfondibile che non avverte minimamente il peso degli anni; il suo album si intitola semplicementa "A", quell'iniziale maiuscola che la identificava ai tempi del quartetto, per la prima volta in grado di brillare di luce propria anche senza BBA. "A" è un album squisito, un po' retrò, un po' nostalgico, e con un passato del genere alle spalle mi sembra più che giustificato, ma soprattutto innegabilmente candido e sincero: Agnetha Faltskog non ci prova neanche a fare la gggiovane, a flirtare con la dubstep, collaborare con Bob Sinclar o altre minchiate del genere come farebbero molte sue coetanee alla disperata ricerca di attenzione, e riesce a proporre una serie di canzoni che già suonano come piccoli instant-classics, per gli ABBA-addicted come il sottoscritto ma non solo. L'impatto teatrale, la brillantezza, i ritornelli sing-along stile musical: tra tutte le sfumature ed i personaggi interpretati durante il periodo ABBA Agnetha sceglie di indossare di nuovo i panni della ragazza dai capelli d'oro, ormai cresciuta ed un po' demodè, ma sempre con l'entusiasmo dei giorni di gloria, come ampiamente dimostrato soprattutto dal trittico iniziale, il sontuoso crescendo di "The One Who Loves You Now", lo slancio più fluido e dinamico di "When You Loved Someone", caratterizzata da un arrangiamento molto accattivante che unisce classico e moderno e il perfetto intreccio tra orchestrazioni e chitarra acustica di una nostalgica ma brillante "Perfume In The Breeze". L'inimitabile carisma interpretativo di Agnetha raggiunge i suoi vertici nelle ballate, la lieve malinconia, la dolcezza ed il trasporto di "I Keep Them On The Floor Beside My Bed", l'elettronica "Bubble", sognante e nobilitata da un chorus delicato e suggestivo e la teatrale "I Was A Flower", un'impatto emotivo ed una perfezione melodica che rivaleggia con il classico "The Winner Takes It All" ma con molto più "drama", un'incedere regale che strappa emozioni autentiche.
"Back On Your Radio" è un'altro bellissimo momento, che si discosta dallo sfarzo orchestrale dell'album proponendo un sound più disimpegnato, leggero e primaverile, la perfezione melodica e la voce soave di Agnetha garantiscono un immediato e piacevolissimo effetto tormentone, così come risulta molto gradevole anche il brillante revival di "Dance Your Pain Away", che ben riutilizza il formidabile groove di "Voulez-Vous". L'unico vero neo di "A" è una poco convincente "I Should've Followed You Home", canzone che avrebbe uno sviluppo abbastanza dinamico ed interessante, rovinato però da un refrain un po' troppo telefonato e soprattutto dalla presenza del mediocre Gary Barlow, il presunto erede di George Michael che a fianco di Agnetha fa la stessa figura di un piccione davanti a un'aquila reale; una piccola caduta di stile, voi che dite, la perdoniamo? Io assolutamente si, e non solo per l'amore e la gratitudine che proverò sempre per Agnetha e per gli ABBA, che mi hanno "cresciuto" musicalmente, mostrandomi la mia strada e dimensione, ma soprattutto perchè "A" è veramente il degno epilogo per una voce squillante e radiosa, una Cantante da cui le nuove leve avrebbero moltissimo da imparare; purtroppo non si intravade all'orizzonte una sua degna erede, ed allora questo ritorno appare ancora più gradito. Con le dovute proporzioni, "A" mi ricorda molto "The Diving Board" di Elton John, artisti di un'altra epoca ma insostituibili, preziosi ancora adesso, ed allora voglio di concludere questa recensione così come conclusi quella di Elton: zitti tutti, canta Agnetha.
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