Ciao ragazzi, il computer di Contemplazione si è rotto. Mi ha spedito via fax questa pagina che posto in nome Suo, sebbene, erroneamente, sul front di Debaser compaia il nome de Il_Paolo, non responsabile di quanto scritto qui a seguire.

«Ahmad Jamal, ritroso artista originario di Pittsburg, non ha mai avuto particolare notorietà al di fuori della ristretta cerchia degli appassionati di musica jazz, potendo tuttavia annoverare, fra i suoi maggiori ammiratori, quel Miles Davis che dichiarò di essersi ispirato a certe intuizioni del pianista per rivisitare le propria musica in chiave modale. Come Davis, Jamal è un musicista multiforme, frammentario ed espressivo nei primi anni '50, turbinoso negli anni '60, vicino a sonorità afro e funk negli anni '70, per rifluire nell'alveo della tradizione e del maggior rigore formale a partire dai primi anni '80, in ciò distaccandosi dalle inesauste, ma non sempre felici, ricerche del trombettista di St. Louis.

"The Awakening" ('70) risulta, secondo me, uno dei migliori album di Jamal (qui in trio con il contrabbassista Jamil Nasser e il batterista Frank Gant), in cui perizia tecnica e ricerca musicale si uniscono con eleganza ed equilibrio, donandoci un prodotto sofisticato, ed, al contempo, estremamente fruibile anche per chi non abbia dimestichezza con il jazz.

Tutte le composizioni ruotano attorno alle sonorità del piano di Jamal, in cui accenti ritmici ed aperture armoniche in toni prevalentemente maggiori sono spesso contrappuntati da fughe ed improvvisazioni, con una mescolanza di stili che rende forse restrittiva l'assimilazione di quest'album ad un genere.

Si tratta di musica che travalica le strettoie degli stili ed i canoni espressivi, dando un'idea di libertà creativa ed esecutiva, senza per questo cedere alla tecnica, a discapito della espressività dei brani e della capacità di comunicare. In questo la musica di Jamal si avvicina a quella del miglior Jarrett, fondendo compostezza espositiva classica ad accenti che discendono direttamente dalla musica afroamericana (ritorno dei temi, scale in cui si sentono echi blues), rivisitati con una leggerezza di tocco ed un approccio aereo, fuggevole, che è tipico del miglior jazz.

In un simile contesto, il ruolo di contrabbassista e batterista non appare, tuttavia, secondario o gregario, contribuendo gli strumenti di accompagnamento a definire il mood, le atmosfere e l'incedere di ogni brano: come spesso accade nel jazz successivo alla rivoluzione davisiana, non conta quante note, quanti fraseggi, quanti passaggi tecnicamente articolati compiano gli strumenti ritmici, ma rileva quasi di più l'alternarsi fra silenzi ed interventi, dando espressività al silenzio ed all'assenza della sezione ritmica, prima del suo ingresso, e dello svilupparsi del suo incedere.

Il risultato di questa tensione compositiva ed espressiva si compendia in "The Awakening" senza soluzioni di continuità, rendendo improbo, e tutto sommato inutile, esporre traccia per traccia gli umori e le sensazioni dell'album, caratterizzato da una ispirazione unitaria in cui ogni pezzo sembra essere la variazione, la rivisitazione, l'evoluzione dei temi dell'altro.

Mi piace tuttavia ricordare l'iniziale, omonima "The Awakening" in cui il suono di Jamal assume ora caratteri solidi, terrei, nelle sequenze di accordi introduttivi al tema centrale del brano, per divenire ora liquido, ora areo, nelle divagazioni e decostruzioni del tema fatte nella parte centrale del pezzo, fino al prepotente riemergere del tema centrale e della concretezza della musica.

Atmosfere più rarefatte si colgono, invece, nella successiva "I Love Music", in cui  Jamal esordisce senza accompagnamento ritmico, con accenti romantici debitori della formazione classicheggiante del pianista, che procedono in graduale crescendo finché l'ingresso di contrabbasso e batteria determinano una evoluzione del brano quasi colloquiale, all'insegna di quel tipico chiacchiericcio da bar di periferia alla Hopper, che definiscono l'essenza stessa, l'etimo, del jazz.

Mi fermo volontariamente qui, lasciandovi il gusto della graduale scoperta di questo lavoro e di questo mutevole trio e degli umori della sua musica, vari, cangianti e mutevoli come solo il jazz d'annata sa essere».

Davvero bella questa recensione del nostro Contempla. Personalmente ho acquistato pure io quest'album, su indicazione del Nostro, apprezzandone le caratteristiche e le sonorità, che, a tratti, ricordano Stelvio Cipriani e Fausto Papetti, soprattutto per la mancanza di un cantante di ruolo, o di strumenti come la chitarra ed il basso elettrico. Strano poi che i batteristi jazz usino solo i piatti (chiederò lumi agli esperti).  Non è, tuttavia, una musica che consiglio per la Vostra autoradio, in quanto, come noto, l'ascolto di jazz può produrre una rilassatezza fatale per i Vostri riflessi.

Come vi direbbe il Contemplazione stesso, meglio ascoltare questa musica sulla propria poltrona di vimini, gustandovi le brezze di maggio, magari sorseggiando un buon sorso di porto dinnanzi ad un tramonto che disvela le rovine storiche della Vostra città o traccia linee espressionistiche sulle parabole dei vostri dirimpettai.

Ancillarmente Vostro,

Il_Paolo

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