Dal romanzo "Due colpi in uno" (1959) di Ed McBain, uno dei film più belli (e sconosciuti) di Akira Kurosawa. Sicuramente il suo più americano, nonostante sia ambientato in Giappone.

Trattasi di noir puro, con cadenze da poliziesco e da giallo. Purtroppo criminalmente mozzato nella versione italiana (143' la durata originale, 104' quella di casa nostra, vale a dire 39 minuti di tagli, dico 39!) è un film incredibilmente riuscito sia nelle parti interne sia negli esterni. E non è una frase fatta. La prima mezz'ora è tutta ambientata all'interno di una parte, una piccola parte, della grande villa del protagonista.

La trama è presto detta: un industriale che è appena riuscito a raggiungere la quota di maggioranza di una grande azienda (detiene il 47%) dopo essersi ipotecato la casa, si vede chiamare al telefono da un misterioso tizio che gli annuncia di avergli rapito il figlioletto. Ma è uno sbaglio, il rapitore ha rapito il figlio dell'autista dell'industriale. Ma il nostro protagonista paga il riscatto: 30 milioni.

Da qui parte un'indagine serratissima da parte della polizia nello scoprire chi sia il misterioso rapitore che, incassati i soldi del riscatto, sembra essersi dissolto nelle nebbie.

Tutto funziona, dalla prima all'ultima scena. Funziona l'inizio molto fitto e dialogato che prelude alla tragedia, così come le incredibili sequenze dell'indagine poliziesca in cui tutti i reparti della centrale fanno rapporto al commissario con un ritmo incalzante, a tratti forsennato. Le indagini sono davvero un'anatomia di un rapimento come suggerisce il titolo, nel senso che Kurosawa, da vero entomologo, racconta in ogni dettaglio i risvolti dell'indagine. Alcune sequenze sono da cuore in gola: un lavoro di montaggio certosino crea la perfetta suspense per la meravigliosa scena sul treno in cui l'imprenditore scambia la borsa con i soldi del riscatto lanciandola dal finestrino e lo scambio col pargolo.

Si diceva che questo è uno dei film più occidentali di Kurosawa. In effetti, tolte le opere con protagonisti samurai e affini, ogni opera di Kurosawa ha una propria vita all'interno della cultura giapponese (dal bellissimo "Vivere" fino a, tornando indietro, "Una meravigliosa domenica"), ma "Anatomia di un rapimento" fa, piacevolmente, eccezione. Il regista, che amava il noir americano, si cala nel suo Giappone riscostruendolo come fosse New York o San Francisco. Nei locali notturni si balla il twist, le autostrade sembrano le highways americane e le indagini della polizia sono raccontate come in un noir americano anni Quaranta. L'intento è chiaro, trasportare l'iconografia classica del noir americano in un contesto lontano eppure non così dissimile. Magistrale la rappresentazione della città, fra quartieri poveri e ville che si stagliano sul paesaggio circostante, classe operaia destinata a soccombere e intere zone degradate dalla droga (gli ultimi venti minuti, in tal senso, mettono i brividi).

Un film poco conosciuto, che ebbe oltretutto poco successo alla sua uscita nel 1963, schiacciato da due film di grande notorietà usciti prima ("La sfida del samurai", 1961, e "Sanjuro", 1962) e gli eccessi da kolossal riuscito a metà del successivo "Barbarossa", 1965.

Da riscoprire. Meglio se in una edizione straniera.

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