Giù nel bicchiere, ancora. Toc, il rumore del bicchiere che si posa di nuovo sul bancone, diventato ormai familiare. Un altro bicchiere? Meglio di no. Meglio fare due passi. Fuori, il paesaggio morto del tramonto, quando la vita inizia a spegnersi. Le acque del fiume che ancora provano a riflettere la luce di un sole ormai calante, uccelli che volano a casa e quei bicchieri che ci rendono semplicemente più loquaci con un affettuoso sconosciuto disposto ad ascoltare le confessioni di chi, forse, ha capito qualcosa di orrendamente folle, di tremendamente vero. 

"Tutto è vanità, solo vanità..." cantava Branduardi, ed è più o meno questo che ritroviamo nel libro di Camus. Il monologo (in realtà un dialogo, nel quale gli interventi dello sconosciuto interlocutore sono praticamente assenti, salvo alcuni sottintesi) è la confessione dell'avvocato Clamence, un uomo che era riuscito ad ottenere tutto dalla vita: avvocato implacabile ed ammirato, crème de la crème sociale, amante passionale e fuggevole. Proprio su questi tre aspetti della vita umana, la confessione di costui si sofferma, cercando di indagarli e di comprendere la triste e bieca natura vanitosa di ogni atto compiuto dall'uomo, nel tentativo di soddisfare modelli di vita che altro non sono, se non gabbie che ognuno desidera per non avere la possibilità di fare altro che sia al di fuori del proprio modello e sentirsi liberamente costretto a non fare ciò che si teme, ricavandone, assurdamente, gran prestigio.

"Non attraverso mai un ponte di notte. A causa di un voto. In fin dei conti, supponga che qualcuno si butti in acqua. Una delle due: o gli va dietro per ripescarlo e, nella stagione fredda, rischia il peggio! Oppure lo abbandona, e i tuffi rientrati lasciano a volte strani reumatismi.

Arriverà il momento in cui qualcuno salterà, ma non si sarà in grado di affrontare la situazione. Non sarà una presa di posizione, sarà semplicemente timorosa indifferenza, perchè non si è in grado di negarsi a sè stesso con abbastanza forza, ma, d'altronde, non si è in grado di affrontare il gelo delle acque. L'indifferenza che genera strani reumatismi, la risata che Clamence udrà quando tenta di condurre il suo modello di vita come se nulla fosse, nell'indifferenza, appunto, sono sintomi di una malattia; si potrebbe paragonarla alla malattia della coscienza dostoevskijana: Clamence è una sorta di rielaborazione dell'uomo del sottosuolo che, a causa dell'indifferenza, si ritira progressivamente dalla vita sociale, incapace di volere e di agire, rifugiandosi nel sottosuolo di un'Olanda crepuscolare ed ascoltato dai pochi avventori di una locanda nei suoi sfoghi. La vanità che ha portato l'avvocato di Camus ad imporsi come modello sociale è la stessa che spinge l'uomo del sottosuolo di Dostoevskij a prendersi gioco di Liza, inferiore socialmente, spacciandosi per un uomo virtuoso, e proprio a causa dell'intima cognizione di questa, i due protagonisti sono spinti dalla propria malata coscienza a ripiegarsi sempre più su loro stessi, chi rifiutato persino dal suo schiavo (il russo), chi ormai incapace di uscire dalla sua camera(il francese). Tutto qui, un gioco d'immagine che porta sempre il più malizioso ad innalzarsi, a tentare di volare con l'aiuto della menzogna su uomini altrettanto menzogneri, ma indifferenti ed inattivi anche più di chi hanno di fronte. Fino a quando, qualcuno non si getta in quelle acque gelide, allora l'indifferenza e la menzogna diventano quasi follia, comprensione di sè.

La tremenda sensazione di sentirsi pedine, di sentirsi sempre indirizzati da qualche forza invisibile verso qualche modello altrettanto invisibile, un terrore che ancora oggi getta nel panico l'uomo (gli esperti l'hanno chiamata "Sindrome di Truman", dal nome del protagonista del famoso film "The Truman Show") e che libri come questo tramutano in una riflessione che purtroppo alcuni di noi sottoscrivono ed altri (per vanità?) rifiutano.

Il caldo di una taverna ed il potere del liquido nel nostro bicchiere, ecco cosa è in grado di illudere l'uomo di non temere le acque gelide o tuffi imprevisti. Un tuffo imprevisto, ed ecco che l'uomo perde la sua vanità, la sua vanagloriosa soddisfazione, ogni gabbia sociale. Malato, in una camera d'albergo, al limite della follia, ma fuori da qualsiasi questione umana. L'indifferenza massima che inebria di superiorità, ma sveglia con la consapevolezza di non riuscire ad essere neanche insetti e l'abietto rimorso del "se...".

"Fanciulla, gettati di nuovo in acqua perchè io abbia una seconda volta la possibilità di salvare entrambi!" Una seconda volta, eh, che imprudenza! Supponga [...] che ci prendano in parola? BIsognerebbe decidersi. Brr...! L'acqua è così fredda! Ma rassicuriamoci! Adesso è troppo tardi, e sarà sempre troppo tardi, per fortuna!"

P.S.: Ho inserito un sample "d'atmosfera", mi veniva in mente musica del genere, mentre leggevo. Magari anche voi avrete lo stesso effetto.

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