The Revenant è uno dei titoli più anticipati e pubblicizzati di questo inizio 2016 e non poteva essere altrimenti dato i nomi che lo accompagnano: Iñarritu, Lubezki, Di Caprio e Hardy. Le prime recensioni lo hanno descritto come un vero e proprio tour de force di un Di Caprio animalesco, immerso in paesaggio desolato e ostile nei primi anni dell'800 in North Dakota, accompagnato dalle superbe riprese di Lubezki, direttore della fotografia con ormai un curriculum di collaborazioni da fare invidia anche a chi è da più anni sul settore. Come si suol dire, tutto fumo e niente arrosto. Non in pochi hanno notato che il film è un tripudio di citazioni a Malick, Tarkovskij e Kurosawa, ma io della genialità dei tre cineasti che ho appena citato ne ho trovata davvero poca. La sacralità e il simbolismo che si susseguono durante tutta la durata del film le ho trovate pedisseque e senza senso, come se fossero state aggiunte semplicemente per dare un valore aggiunto al film, mascherando quello che in realtà è a tutti gli effetti un vero e proprio blockbuster d'autore. Altro aspetto importante della pellicola è la presentazione del punto di vista delle popolazioni indigene che vivevano da secoli in quelle terre attraverso scene rappresentanti i soprusi e le crudeltà messe in atto dai conquistatori europei che barbaramente non si preoccupavano di uccidere nè donne nè bambini. Lubezki è la colonna portante del film grazie alle sue trovate innovative e alla sua innata e innegabile maestria nel comporre e scegliere scenari mozzafiato, riuscendo così a far immergere lo spettatore nell'atmosfera cruda e mistica che il film vuole evocare rendendoci partecipi di ogni respiro e rantolo di ognuno dei personaggi. Difficile non parlare dei due interpreti principali; Di Caprio e Tom Hardy sono entrambi ineccepibili ma allo stesso tempo limitati da una sterile caratterizzazione che rappresenta un altro punto debole del film e da scelte registiche abbastanza discutibili. Date le recensioni entusiaste Di Caprio più di tutti in questo film doveva dare la sua grande interpretazione mettendo fine alla ormai vecchia e risaputa storiella del "date un oscar a Leo!!1!!1". Con questo non voglio dire che Di Caprio non sia un bravo attore o che non si meriti un oscar (dato che non ho ancora avuto modo di giudicare gli altri candidati), ma trovo che questa recitazione in particolare più che sulle sue reali capacità attoriali si sia basata su alcune scelte estreme, che sì, denotano sicuramente un certa versatilità nell'immergersi nel personaggio interpretato, ma che da sole non possono elevarla da ottima a grande interpretazione. Anche Tom Hardy ci regala un ottima interpretazione riuscendo a sorvolare alcuni problemi di scrittura del personaggio e adottando per questo film un particolare accento sudista rendendo così il personaggio più reale e soprattutto efficace. Il vero punto debole dell'intera costruzione è proprio il regista. Iñarritu probabilmente dopo il successo di Birdman (che ho apprezzato davvero tanto) si è montato un po' troppo la testa andando al di là delle sue reali capacità. Come ho già detto prima non è facile far confluire in un film una sensibilità unica che può essere ad esempio di Tarkovskij e cercare di emularla attraverso scene simboliche e mistiche di dubbia qualità, quando la stessa sensibilità artistica è assente nel regista. Se Iñarritu avesse provvisto i suoi personaggi di una psicologia un po' più elaborata invece di renderli strumenti passivi delle sue idee alquanto confuse, probabilmente il risultato sarebbe stato migliore e il film ne avrebbe goduto in qualità. Questa mezza stroncatura più che altro nasce da una mia delusione, mi ero creato troppe aspettative che sicuramente ne hanno almeno in parte inficiato la visione. Nonostante tutto il film è comunque abbastanza avvincente, qualche richiamo a Malick un po' prolisso ma comunque non fine a se stesso può destabilizzare un po' lo spettatore meno preparato, ma grazie alla potenza delle sue immagini riesce comunque ad uscirne un ottimo prodotto di intrattenimento.

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