X-factor, rispetto a Sanremo, ha il pregio di mostrare (almeno in parte) il criterio di selezione dei cantanti in gara. Quasi tutti i giudici incaricati, pur non essendo propriamente scopritori di talenti, hanno comunque maturato esperienze nel campo della musica o dello spettacolo. Va da sé che il programma, ricercando valori qualitativi e meritocratici, sia diventato negli anni non solo la migliore vetrina per artisti emergenti, ma anche espressione di una televisione costruttiva, una scuola/palestra per cantanti, ma anche per scenografi, stilisti, attrezzisti, conduttori e critici.

Tutto molto bello, ma comunque migliorabile. Per quanto mi riguarda, quello che più infastidisce in questo talent è l'eliminazione. Ne resterà soltanto uno, come la frase simbolo di Highlander - l’ultimo immortale: come se la vittoria garantisse vita e gloria eterna all’ultimo sopravvissuto.

In “Umano, troppo umano” Nietsche afferma: “Con un talento in più si è spesso più insicuri che con uno in meno: come il tavolo sta meglio su tre che su quattro gambe.”

Il concetto spiega quanto sia semplice eliminare altri talenti per decretarne il migliore, ma anche che un tavolo con una sola gamba non sarebbe più un tavolo.

Omologazione, appiattimento, desolazione, solitudine. In realtà, come in tutte le classi scolastiche, potrebbero coesistere un primo della classe, altri promossi e qualche bocciato.

La musica, come la cultura, come la vita stessa, non ha vincitori, ma diverse forme espressive. Forse per questo il talent dei miei sogni vede un direttore d’orchestra alla ricerca dei migliori strumenti musicali per realizzare un concerto. Parte uno e arrivano in tanti.

Tornando a X-Factor 12, in generale ho preferito la musica dei Bowland e le loro atmosfere, senza nulla togliere alle ottime scritture di Anastasio e alla sua Fine del Mondo o al mash up Rap God-Beautiful di Naomi. L’unica grande emozione è stata per Rank & File. La versione di Sherol, seppure meno tribale e priva del misticismo esoterico avvertibile nel fantastico originale di Moses Sumney, spezza le catene di quella magia nera con voce potente, in un gospel arricchito di basi ritmiche e contaminazioni che ricordano e sottolineano il valore della musica quale strumento di integrazione.

Carico i commenti... con calma