Un film decente, niente di particolarmente impegnativo e affascinante. Ma le vicende legate alla distribuzione dicono molto sullo stato dell'industria hollywoodiana, ne sono la perfetta cartina tornasole. Un produttore infatti ha espresso dubbi sulla pellicola, ritenendola troppo lenta, intellettuale, con un finale troppo difficile e una protagonista non abbastanza simpatica. Ma il regista e altri produttori si sono opposti ai cambiamenti richiesti, imponendo quindi uno stallo che si è “risolto” con la distribuzione al cinema solo negli Stati Uniti, in Canada e in Cina, mentre nel resto del mondo la pellicola è approdata direttamente su Netflix.

Questa vicenda è significativa di quando sia ormai svalutato (non completamente a torto, bisogna dirlo) il pubblico cinematografico. Non è sicuramente una vicenda banale, quella proposta, ma fatico decisamente a vederla come difficile e complessa. Il finale dà quel tocco enigmatico che non può non far piacere agli appassionati di cinema “cazzuto”. Annientamento non è un filmone, non merita troppa attenzione, è un prodotto fantascientifico sufficiente, che non si sforza nemmeno troppo di essere cervellotico e originale. E molte cose vengono spiegate quasi con le didascalie. Fa quindi ancor più specie sapere dei problemi nelle scelte di distribuzione, perché non si tratta certamente di un'opera d'élite. Ma se guardiamo le programmazioni delle multisale e la difficoltà (o comunque le attese) per trovare al cinema certi film un poco più impegnativi, e ricordandosi che l'offerta è data dalla domanda, si può ben capire che i distributori, semplicemente, danno al pubblico quello che vuole: roba grossolana.

La decadenza è tale che un filmetto come questo passa per difficile, intellettuale addirittura. Meglio scaricare la patata bollente a Netflix, che non mi pare proprio curi la qualità della sua selezione filmica. Anzi, assomiglia spesso a una discarica dove si raccolgono tanti rifiuti cinematografici. Ma Annientamento alza un pochino l'asticella, quello sì, almeno rispetto al tremendo Bright e forse anche a Mute di Duncan Jones, che ho abbandonato dopo pochi minuti.

Natalie Portman fornisce una prova dignitosa, così come Jason Leigh e le altre. La struttura narrativa ha un suo perché, in termini di freschezza del raccontare, ma forse ha meno cose da dire di quel che vorrebbe far credere. Ciò che critico è la scansione troppo action (per quanto lenta), con scarsa intensità concettuale e conoscitiva. Nell'episodio conclusivo, al faro, si risolleva decisamente e porta a quel finale aperto (ma nemmeno così tanto) che non è piaciuto a quelli che hanno messo i soldi. Banalmente, le parti più oscure e non spiegate sono le migliori del film, che per il resto si disperde in scontri con mostri vari o diatribe all'interno del gruppo di “donne forti” (sic) in missione nel prisma.

Garland si conferma personalità interessante, per quanto registicamente lineare. Ma temo che quell'insistere sul lato umano della protagonista e sul suo rapporto con il marito sia stata una necessità quantitativa, un riempitivo, più che una scelta di sceneggiatura particolarmente sensata. In sostanza: la visione del “meraviglioso” non pareggia nemmeno lontanamente la sua scansione teorica. Al cinema (ops, sul divano) non voglio gli spiegoni sulle cellule che mutano, voglio vedere le mutazioni. Magari nei prossimi episodi, se fanno davvero una trilogia.

6/10

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