(Spoiler presenti.)

Non è la prima volta che mi ritrovo con ben più di qualche perplessità in merito a un film generalmente molto ben accolto da critica e/o pubblico. I casi sono due: o sono io che a furia di spararmi polpettoni asiatici mi sono fritto (in tempura) il cervello, oppure l'asticella negli ultimi anni si è abbassata un po'. Tanto che basta un film come questo Ex Machina (2015), indipendente (ma neanche tanto), dalle tematiche trite e ritrite, e scritto pure maluccio, per attirare l'attenzione.

La trama è semplice e il soggetto in realtà lascerebbe ipotizzare sviluppi un minimo interessanti: Caleb (Domhnall Gleeson), un programmatore brillante e solitario, vince (ma non per caso) un concorso per trascorrere una settimana nel rifugio/laboratorio di Nathan (Oscar Isaac), CEO di una delle più grandi società di internet, e lì parteciperà a un test di Turing in vivo, ovvero interagendo faccia a faccia con un'intelligenza artificiale di nome Ava, avente corpo e sessualità femminili.

Il cast e gli ambienti limitati, seguendo la filosofia del less is more, danno ampio respiro al concept, che presenta sì qualche momento degno di nota, ma in un mare di superficialità e colpi di scena prevedibili. Anzitutto c'è un evidente squilibrio nella caratterizzazione dei personaggi: Ava, inutile dirlo, rappresenta il fulcro della vicenda, con la sua mente algoritmica e affascinante, aggiornata in tempo reale dalla mole sconfinata di dati ricavati dai motori di ricerca (l'unica vera novità nel genere); inoltre ha un bel design ed è ben interpretata dalla svedese Alicia Vikander. I due maschietti che le ruotano attorno sono invece privi di spessore e agiscono inspiegabilmente come perfetti imbecilli.

Da una parte c'è Caleb: solo, un po' musone, orfano, dal passato travagliato; la sua psicologia è appena accennata e, coerentemente, nel giro di un paio di incontri si affeziona a/innamora di Ava, provando per lei una gran compassione per la sua reclusione, per il suo destino in caso di fallimento del test, tanto da voler pianificare subito la sua fuga. Si verrà a sapere poi che è stata progettata apposta per piacere al ragazzo, specie dal punto di vista fisico – espediente del tutto arbitrario per mandare avanti la sceneggiatura claudicante. Anche Nathan dal canto suo è responsabile di comportamenti discutibili: prodigio della scienza, responsabile di un progetto che forse cambierebbe le sorti dell'umanità intera; eppure non si fa problemi a sfondarsi di alcool ed abbassare la guardia in presenza di un estraneo, in modo che questi possa ficcanasare dove gli pare e piace, rivelandoci così qualcosa di losco che già si era intuito al momento di entrare nel laboratorio.

Ava è programmata per sopravvivere, per uscire dal laboratorio: è in grado di causare blackout occasionali per mandare in tilt le telecamere di sorveglianza e mettere così in guardia Caleb durante gli incontri (Nathan ci arriva dopo un bel po'). È una manipolatrice, si adatta alle sensibilità altrui per raggiungere il suo obiettivo, e ciò al belloccio Caleb viene ribadito più e più volte da Nathan; eppure il bravo Caleb ci casca e fa in modo di sabotare i sistemi di sicurezza. Entrambi alla fine rimarranno fregati, o per meglio dire si fanno fregare, non tanto dall'intelligenza di Ava quanto dalla loro stupidità.

Nell'ultima parte il film prende una piega thriller che stona col resto della vicenda, e se tale scelta può nel migliore dei casi spiazzare non mi sento di dire lo stesso per il finale, frettoloso, superficiale, anticlimatico, anche questo anticipato senza bisogno di tanta fantasia: a partire dal nome (Ava = Eva) dell'IA e dalla sua sessualità più volte sottolineata, oltre che dagli immancabili accenni al ruolo di uomo-dio, creatore di un essere a sua volta senziente, è facile capire dove il regista voglia andare a parare in ultima istanza. Eva scapperà e si confonderà tra gli uomini, diventando la prima donna-macchina e, forse, adempiendo un disegno cui i due bambolotti erano (presumibilmente) rimasti del tutto all'oscuro. Ma questa sarebbe la migliore ipotesi deducibile, altrimenti non si spiega perché alla fine vengano a prenderla in elicottero come se nulla fosse.

Ex Machina è spiccio, banale, permeato da un finto spessore concettuale; è la fiera del “vorrei ma non posso”. Di sicuro è ben impacchettato da regia, fotografia e colonna sonora, ma la sceneggiatura a mio avviso lascia a desiderare, e il fatto di aver intavolato un argomento così sviscerato da Kubrick a oggi (la stessa Ava pare un incrocio tra HAL 9000 e la sensuale Samantha di Her) senza offrire spunti di riflessione degni di essere chiamati tali non fa che renderlo un prodotto dozzinale come tanti altri. Si spera che questo debutto alla regia di Garland (già sceneggiatore e produttore di diversi film dal 2000 a oggi), comunque non pessimo, porti a risultati più convincenti in futuro.

1,5

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