"Scrivere una poesia dopo Auschwitz è barbaro"
E forse basterebbe questa celebre frase di Adorno per spiegare quale differenza profonda, quale baratro forse incolmabile, divida irrimediabilmente il mondo della musica "classica" dal mondo della musica "contemporanea". Perché se la musica classica e barocca muovevano dalla bellezza, il mondo della musica contemporanea deve necessariamente muovere dalla verità. Non l'arte per l'arte. Ma l'arte per la vita. E Alfred Schnittke, "l'ultimo grande del ventesimo secolo", ha certamente mosso l'intera sua monumentale opera in musica dalla propria vita, dalle inquietudini di un secolo falcidiato dalla guerra e dalla carneficina imposta all'uomo dall'uomo. Una "Guernica" di disamore partita dai lager e dai gulag, i cui rigurgiti di morte e indifferenza si riflettono tuttora nei focolai di guerra che ardono inutili in questo crepuscolo di terzo millennio. E l'inquietudine è davvero il filo conduttore di questa splendida raccolta di opere da camera di Schnittke. Opere per pianoforte ed archi, che rivelano come una epifania il genio multiforme ed universale del grande maestro russo. Opere che trasudano i malesseri interiori e i bisogni inespressi e inappagati dell'uomo del ventesimo secolo. Ma che non si abbandonano ad un destino già scritto. Al contrario, che ricercano ostinate e cocciute un significato. Che arrivano ad un approdo tonale dopo un mare di atonalità. Che si risolvono talora perfino in richiami al barocco, e alla radici più "canoniche" della musica classica europea.
Il disco si apre con la splendida "Fuga per Violino Solo", un'opera virtuosistica che rappresenta ben più di un semplice omaggio alla spiritualità bachiana. Costruire un genere musicale polifonico come la fuga su uno strumento come il violino richiede necessariamente un percorso irto di difficoltà soprattutto per il solista. Ed è qui che è forse racchiuso il messaggio più profondo della poetica di Schnittke. Non basta più pregare, come faceva Bach con la sua musica. Occorre in prima persona lottare per non rendere infernale il mondo in cui viviamo. Un motivo musicale duro, quello della Fuga, reminescente di sonorità tipicamente russe che si ripercuotono sulle corde di un violino teso sino allo spasimo nel suo anelito virtuosistico. Un solipsismo musicale che si risolve nel dialogo tetro ed oscuro della "Stille Musik" per violino e violoncello. Un'opera che crea masse sonore atonali che crescono progressivamente come in una marea tetra e immobile, su cui solo il silenzio riesce, in ultimo, a galleggiare. Ma il capolavoro del disco è certamente rappresentato dal celebre "Quintetto per pianoforte ed archi", che in questa esecuzione vede al pianoforte Irina Schnittke, la moglie del grande maestro. Un'opera, il Quintetto, che si erge come un colosso sul panorama cameristico contemporaneo a proiettare il suo messaggio colmo di angoscia e di speranza.
E se da un lato il secondo movimento, "In Tempo Di Valse", è un valzer malato e irrancidito, è davvero nell'ultimo movimento, "Moderato Pastorale", che l'arte di Schnittke assume una valenza davvero universale. Il tema che anima il "Moderato Pastorale" è un motivo dolcissimo e cullante, colmo di quiete bucolica, perfettamente tonale, che il pianoforte ripete per ben quattordici volte, sempre uguale a se stesso, dall'inizio alla fine del brano. Tutto questo incurante delle dissonanze, aspre e cattive, che gli archi gli oppongono per quasi tutta la durata del pezzo. Ed è solo nelle ultime battute che gli archi alla fine si quietano e fioriscono una selva tonale che sussurra di senso ritrovato, per poi lentamente spegnersi e sciabordare lentamente sulle spiagge del silenzio. Lasciando solo il pianoforte a ripetere, per la quattordicesima ed ultima volta, la sua delicatissima, incrollabile supplica d'amore.
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