Il ritorno della Moglie. Che non è un horror per vedovi, ma semplicemente il disco, splendido, della moglie di un genio indiscutibile del Jazz moderno, a più di vent'anni dall'ultimo prodotto. Sì, perché Alice Coltrane è la moglie di John, forse l'ultimo sassofonista che ha indelebilmente girato pagina nella storia del suo strumento. Uno dei musicisti più imitati (invano) e venerati (giustamente) della storia della musica afroamericana.

Ma non è di John che - questa volta, almeno - vogliamo parlare. È della sua famiglia. Della moglie Alice e dei figli Ravi e Oran, ovviamente sassofonisti, e anche molto bravi, che, insieme a una band di grandissimo rispetto (che vede Charlie Haden al contrabbasso e alternarsi alla batteria due monumenti come Jeff Tain Watts e Jack Dejohnette...) ha confezionato, nel 2004, un album splendido, tanto facile da godere e ascoltare quanto difficile da recensire. Difficile come tutti i dischi di pura atmosfera, dove le composizioni sono scritte senza fanatismi armonici, ma al contempo mai banali (e, in sostanza, scritte benissimo), e dove le improvvisazioni sono anch'esse mai fanatiche e mai fuori luogo. La leader si alterna al pianoforte e al wurlitzer organ, e non si può certo dire che sia una grandissima strumentista, al meno dal punto di vista prettamente e oggettivamente tecnico. È però, indiscutibilmente, una grandissima musicista, con un'anima da vendere e senz'altro con grandissime capacità di meditazione sullo strumento, il che traspare da ogni nota, da ogni tocco. Il suo fraseggio è lontanissimo dai canoni potremmo dire jarrettiani che dominano il pianismo moderno, le sue sono note studiate e velocissime fughe, un po' tutte uguali a se stesse ma mai effettivamente ripetitive, e questo è già, almeno in parte, inspiegabile.

Un disco che non ha senso recensire brano per brano, ma che va fruito tutto d'un fiato, e tutto di fila, sia raccogliendosi nei propri pensieri, che facendo tranquillamente altro. Non necessita l'attenzione assoluta di un "Radiance" di Jarrett, o di un "A Love Supreme" dell'immortale Marito, perché è un disco al contempo profondo, rilassante, e assolutamente piacevole. E, soprattutto, è un disco autunnale. Se c'è un discorso nel quale non ammetto contraddittorio (che di solito accetto ovunque e comunque) è che la musica abbia le sue stagioni, e non suoni sempre uguale a se stessa. Bene, questo disco, come, mutatis mutandis, l'opera omnia di Battisti-Panella, è schiettamente autunnale, così come Vasco e le grandi orchestre, prima tra tutte Ellington, sono primaveril-estive, e Garbarek con l'Hillard Ensemble, come Bach, è indubitabilmente invernale. Così, se qualcuno volesse provare a darmi retta, provi a comprare questo disco e ad ascoltarlo in un giorno di nebbia, non importando se fuori avete la campagna o la periferia d'una grande città, se siete in ufficio o in casa a preparare il sugo o a correr dietro a vostro figlio che gattona... Quel che conta è che sia autunno, e che la vostra mente sia disposta a rilassarsi, anche inconsciamente, in altre faccende affacendati, con l'improvvisazione coltraniana.

E tutto qui suona vecchio e modernissimo insieme. In un impianto coerentissimo con la contemporaneità, sembra quasi di poter sentire il vecchio John, col suo soprano, che si butta in famiglia con un assolo dei suoi, così perfetto, così inimitabile. Questa famiglia porta con onore il cognome Coltrane, producendo musica giusta, bella, riflessiva e intelligente, mai banale o inutile. E alla fine, riesce quasi a farti pensare che John sia ancora vivo, lì, orgoglioso, che li sente suonare.

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