Il cinema di Alice Rohrwacher è una canzone popolare, che attraverso il fascino delle radici e della cultura millenaria, unisce con un filo rosso le dimensioni del presente e del passato, del sogno e della realtà, e attrae anche persone molto lontane da qui nell'appartenenza geografica. Unendo attraverso il linguaggio della parola e dei gesti, del detto e del non detto.

Il passato è come un gigantesco tempio sotterraneo, sepolto eppure presente, perso ma vivo da qualche parte, la cui lontananza temporale è solo una delle molte illusioni della nostra esistenza.

Il passato non è mai morto, anzi non è neppure passato. Diceva William Faulkner.

Il passato ne La Chimera viene profanato e monetizzato, nonostante sia qualcosa di inestimabile per sua natura. E come veniva magistralmente mostrato ne Le meraviglie, non tutto può essere comprato, valutato, ripreso, filmato, restituito all'occhio della modernità, che non può riprodurne lo spirito e la ritualità. Eppure c'è qualcosa che resta, perché dentro di ognuno di noi per sempre. Qualcosa di profondo e ancestrale. Come il giocare nelle grotte. Come la solidarietà, l'amore. E il dolore della perdita.

Così quel filo rosso unisce anche il sacro e profano, il sopra e il sotto, il qui e ora e l'aldilà, la dimensione dei vivi e quella dei morti.

Il cinema di Alice Rohrwacher è una fiaba italica. Ed è il più prezioso e peculiare nel panorama attuale di quel che viene prodotto nella nostra antica penisola.

Voli imprevedibili ed ascese velocissime

Traiettorie impercettibili, codici di geometrie esistenziali

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