Oramai è risaputo che le mie recensioni sono callimachee: hanno uno smaccato senso del raro. Ora vi prego di non de-strutturare questa bella frase e di non palesare che, actually, il mio gusto del raro si traduce nell’essere sfigati come pochi a questo mondo e di avere pertanto bisogno di un costante rifornimento di musica altrettanto… “rara”…

Quando ho sentito per la prima volta questi Alienation Mental ho pensato che si trattasse dell’ennesimo gruppo Brutal Death californiano (Odious Mortem, Vile, Severed Savior… ) magari gli ultimi arrivati in casa Unique Leader Records; e invece no, l’etichetta americana non c’entra proprio niente in quanto questi cinque (credo) ragazzi vengono dal vecchio continente ed in particolare da una terra che ultimamente si è dimostrata particolarmente feconda per quanto riguarda questo genere, la Repubblica Ceca (vedi anche Fleshless, Reek Of Shits, Hypnos, Rabaroth, Disfigure Corpse, Godless Thruth).
Ciò che mi ha tratto in inganno è il sound di questo gruppo, riconducibile senza ombra di dubbio alla scuola dei Deeds Of Flesh (pionieri del Brutal Death della West Coast) e quindi al più puro integralismo sonoro. Arrivati alla fine di “Ballspouter” vi verrà spontaneo chiedere a voi stessi (se vi è piaciuto quanto al sottoscritto) cosa c’è che non va nella vostra (o nostra) testa; questo cd pesta, pesta duro e lo fa in una maniera diversa dagli altri.

Nonostante il lavoro si discosti parecchio dalle innovazioni delle molte altre illustrissime creazioni di altrettanto illustrissimi colleghi (i soliti Cephalic Carnage, Gorguts eccetera), si presenta come un album Brutal Death di ultimissima generazione con il pregio di escludere quelli che sono i difetti e i mali (“il pregio di escludere i difetti” … questa è poesia, signori miei!) principali che affliggono il Metal estremo di questo inizio di ventunesimo secolo, primo tra tutti quel fastidiosissimo growl ringhiante che va tanto forte adesso. Se spolverate il tutto con qualche inserto di elettronica (molto discreto a dire il vero) e altre amenità assortite (come una strumentale, “Children Of The South”, piena di scratch e una canzone, “Psychogenes”, con un outro tipicamente Free Jazz) vi farete un’ idea di cosa si trova in questo album.

A parte i casi sopra elencati, la proposta è un Brutal Death pesantissimo e molto al di sopra della media per estremismo e livello tecnico: l’esecuzione non solo è perfetta, come si addice ad una band di persone serie, ma riflette un talento non comune anche in ambito compositivo. Un ascoltatore esperto, a dispetto delle accordature basse e delle forti distorsioni, potrà distinguere delle pattern di chitarra estremamente complesse, fatte di scale e accordi che possono essere suonati, ma soprattutto scritti, solo da musicisti di altissima qualità. Accanto ad un riffing intricato ma non per questo privo di groove (come spesso accade in questo tipo di cd, in primis in quelli dei Disgorge americani), troviamo una batteria indiavolata che fa invidia anche ai migliori nell’ambito; infatti l’ignoto ragazzo che si cela dietro alle pelli si dimostra all’altezza dei grandi, anzi, grandissimi nomi del panorama Brutal Death non solo per velocità ma anche per inventiva.
Sregolato nei passaggi più veloci, ricchissimi di controtempi che stravolgono perfino il concetto di controtempo, chirurgicamente preciso quando la batteria deve passare in secondo piano per lasciare spazio agli altri strumenti, devastante nei rallentamenti, quando a salire sul trono è un distillato di violenza sonora: insomma, insieme ai due chitarristi è la colonna portante del gruppo. Buona prova anche per il cantante che però non fa più di tanto per fare ricordare il proprio nome; una prova canonica, ben amalgamata con il resto ma di certo non molto particolare. Il bassista, come spesso capita e come spesso capita che io dica (mazza quanto sono poeta oggi) è sommerso dagli altri strumenti e si può dire che si “limiti” a seguire le chitarre e, per quanto questa sia già impresa non da poco, rimane decisamente sotto altri suoi simili militanti in altri gruppi.

La colpa/il merito è di un mixaggio forse non impeccabile ma che rende il tutto estremamente oscuro e distruttivo, creando un mood di ragionato e violento pessimismo che parrebbe ricordare un po’ i bei tempi dei Newyorchesi Skinless (periodo “Foreshadowing Our Demise”). La durata delle dieci canzoni complessive e una media di tre o quattro minuti, cosa che mette ulteriormente in mostra l’impegno dei cinque Cechi nel sfornare il loro prodotto; ne sono esempio l’opener “The Restricted Cerebral Capacity”, secondo me la migliore dell’ album, e la conclusiva “Apocalyptic Visions Of The Future” .

Ultimamente sono pochi in dischi che mi creano una vera e propria dipendenza e “Ballspouter” ci è riuscito; i complimenti vano agli Alienation Mental che sono stati in grado di unire una tecnica tra le migliori e delle gran buone idee sigillando il tutto con un mood non farsesco: speriamo che continuino così.

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