Fragilità, instabilità, tristezza. Infantilismo, ingenuità, innocenza. Afflizione, sconforto, abbandono. Timidezza e confusione, perplessità. Questa è Marilyn due giorni prima di morire, ritratta da Allan Grant (1919-2008), fotografo della rivista "Life".

Nuda. Come mai l'ho vista.
Assai più nuda che nella celeberrima foto su Playboy, sdraiata su raso rosso in posa seducente, candidamente smaliziata. Lontana anni luce dalla bambola di plastica patinata, con le labbra quasi deformate dall'eccessivo rossetto, gli occhi socchiusi e trasognati.

Cara Marilyn, Hollywood, la fabbrica di sogni e di creature mostruose plasmate a sua immagine e somiglianza, ti ha dato una nuova vita per poi distruggertela lentamente, imprigionandoti in un gioco ripugnante le cui regole ti costringevano ad incarnare ciò che non avresti mai potuto essere. Hanno trafugato le tue paure, traumi, ambizioni e sogni, la tua insicurezza. Ti hanno seppellito la personalità sotto tonnellate di trucco, tinte biondo platino, ingorda sessualità, humor e vacuità. Non una dea eterea e irraggiungibile come la Garbo, ma la superbomba sexy. Divina ma alla portata di tutti, mercanzia da esportare su dimensioni planetarie; morbida, succosa e deliziosa come una pesca, pronta per essere odorata, assaporata e divorata. Avevano perso Jean Harlow troppo presto e finalmente sei arrivata tu, come una manna dal cielo e come lei abbondante, plebea e scandalosa, facile e senza complicazioni intellettuali. E poi, lui, tuo marito Arthur: anche lui ha provato a cambiarti, a crearti a sua immagine somiglianza. Invano.


Di te, della tua vera natura, non fregava niente a nessuno: eri inaccettabile e improponibile.
Marylin, musa di tutte le muse, erotico archetipo artefatto e coatto del XX° secolo, amata e immortale, è così che voglio ricordarti nei tuoi ultimi giorni di vita terrena: sfatta e strafatta, nevrotica, alla deriva, fallita. Vera.

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