Per la serie: nostalgia, nostalgia canaglia.
Gli Almedal non sono una band. Sono una band qualsiasi, ma non lo furono alle mie orecchie caste di ragazzo una manciata d’anni orsono. Cantano in svedese, non sanno cosa sia un distorsore, usano un pizzico di riverbero. Tanto basta a convincere la totalità di voi a starne alla larga. Posso godermeli in santa pace. Trombe, tromboni, drum-machine, synth appiccicosi, chitarrine gaie quanto anarchiche.
Poco da dire, questo EP di debutto (2006) resta un inno a quello che sembrava un genere distinto all’epoca: l’indie-pop, per di più nella sua inclinazione scandinava, vitale e ottimista. Mi basta ascoltare il gioiello senza pretese di “Och alla platserna” per cogliere quanto irriverente talento pervade i falsetti di questi giovani e prestanti biondoni (e che linea di basso, mi fa sempre venire). Una fresca secchiata di melodie gaie che entrano sottopelle, giusto a ricordare che quella sindrome di Peter Pan non è una patologia, è endemica all’homo sapiens, basta il mix adatto per risvegliarla.
Lunga vita al pigolio degli uccellini, ai falsetti pseudo-clericali, al proto-punk edulcorato e all’ikea (che ci aiuta anche in caso di stitichezza con le sue polpette). 1 palla in più con affetto, vi terrò sempre con migo en el corazon.
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