Autunno 1979, sera tardi, genitori annuncianti il non essere questa casa un albergo, fratello inquirente sulla fine delle corde nuove del basso. Scivolo fra i tre, chiudo la porta della stanza, con un solo gesto mi butto sul letto e contemporaneamente accendo l'ampli, metto le cuffie e calo la puntina sul disco. Il Matrix di là da venire può giusto lucidarmi gli anfibi... Il padre di Marco ha una miniera di dischi jazz da Scott Joplin a Miles Davis. Mi ha prestato un LP, dice un esperimento di elettroacustica o giù di lì, comunque "non jazz". Lo provo. Un unico brano diviso in due facciate, datato 1970, stampa USA, con un tale che afferma di esser seduto in una stanza mentre incide il suono della sua voce su un registratore, per poi riregistrare il risultato su un altro e così via, 32 volte. Alla fine del lato A appare chiaro che il tale VUOLE arrivare da qualche parte contando sul fatto che l'ambiente in cui registra, con le sue dimensioni, il vuoto, l'eco, distorce e cambia un poco ogni volta quanto inciso le volte prima. Alla fine della seconda il tutto si è mutato in un'oscura melodia di tre sole note, ciò che deriva dall'enunciato continuamente riproposto. Tre note. A forza di ri-registrazioni un testo parlato è ora una nenia di tre note ripetute. Perplesso rendo l'Lp al padrone. Ci ho messo anni ma l'ho ritrovato, in CD, il Sacro Graal dell'Arte, non già della Musica, non della Classica né del Rock né dell'Elettronica. Ora so d'aver ascoltato il punto d'arrivo e di non ritorno di quanto sia definibile Musica e al tempo stesso non sia per nulla definibile. Un'Opera in cui l'Artista ci spiega carinamente la Creazione Del Suo Artefatto. La Democrazia Del Suono per decantazione dello stesso. Oppure il professor Lucier, come già in altri lidi Andy Wahrol, ci ha perculato per cinquant'anni.

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