"Il cinema non è una puttana"

Amir Naderi, regista culto del cinema iraniano, si trasferisce temporaneamente nel Giappone di oggi per firmare il testamento filmico definitivo del cinefilo convinto. Il cinefilo, l'alter-ego stesso dell'autore, è un regista giapponese con l'ossessione di salvare il cinema odierno. Un cinema affetto dalla sete di soldi, dal puro intrattenimento, dagli effetti speciali. In breve: non si racconta più nulla che meriti di lasciare una traccia, si tende solo a stupire con l'estetica fine a sé stessa, con l'emozione a buon mercato.

Shuji è un martire cinematografico che organizza cineforum clandestini, si offre come punchingball umano per riscattare un fratello morto pur di finanziare film indipendenti. Il suo corpo esile che resiste ai colpi è una tela su cui vengono dipinte ferite, dalla quale sgorga il sangue: è il corpo martoriato di un cinema che sta perdendo ogni speranza. Il cinema di oggi è una tigre ferita destinata all'estinzione.

Naderi porta alla luce un manifesto salvifico di violenza e onore: i pugni si alternano alle visite di tombe dei maestri. Eppure "Cut" non è un film ingenuo e nostalgico: è un secco grido di battaglia, un lento climax che conduce alla guerra finale. Shuji inerme che incassa cento pugni per cento film. Una sfilza di capolavori, di nomi, di ispirazioni (Pier Paolo Pasolini, Federico Fellini, Michelangelo Antonioni, Hiroshi Teshigahara, Andrej Tarkovskij, Yasujiro Ozu, Akira Kurosawa, Georges Méliès, Béla Tarr, Apichatpong Weerasethakul, Lino Brocka, David Lynch, Orson Welles, Tsai Ming-Liang, Lee Chang-Dong, Zhang Yimou, Jean Luc-Godard, Jean Vigò, Kaneto Shindo, Charlie Chaplin, Takeshi Kitano, Ermanno Olmi...) che diventano pugni, armi, resistenza. Ogni pezzo di storia cinematografica è un colpo duro che non può soccombere alla violenza fisica.

Amir Naderi firma un manifesto sentito, profondo, emozionante, probabilmente destinato ai soli cinefili in grado di riconoscersi nell'attivismo cinematografico di Shuji, nel suo sconfinato amore per il cinema, nel suo desiderio di vivere una vita dedita all'arte. Il cinema è l'unico mezzo che collega Shuji alla vita, il suo unico scopo per esistere (e in questo senso, sono rivelatorie le scene in cui il protagonista, nudo, si lascia proiettare addosso le pellicole che tanto ama, cure salvifiche per le ferite della sua pelle).

Un atto romantico attorniato da un'aura quasi sacrale, con un cuore enorme, eppure secco, crudo, grezzo.

Come uno schiaffo.

Carico i commenti... con calma