La ristampa da parte della Metal Blade dei primi quattro album degli Amon Amarth mi ha dato lo spunto per scrivere questa recensione. E questo perchè ho maturato l'impressione che il primo, leggendario LP degli amatissimi Uomini del Nord sia quasi semi-sconosciuto... voglio dire, quale metallaro oggi giorno non ha visto almeno un suo 'affine di pensiero' con indosso una maglia/maglietta ornata dal logo dei cinque svedesi e da qualche icona nordica? Pochi, sicuramente. Eppure 'Once Sent From The Golden Hall' (1998) rimane sconosciuto, o peggio, sottovalutato! E' ora di finirla con questa ingiustizia, mi son detto...

Premessa: non è un disco facile da digerire per coloro che si sono innamorati dei vichinghi ascoltando il loro ultimo capolavoro 'Twilight Of The Thunder God'. Su 'Once Sent From The Golden Hall' la produzione non è così pulita e massiccia come sul disco che li ha consacrati a mostri sacri del death melodico svedese, la voce del nerboruto Johan Hegg è più sporca e lacerante, così come le chitarre di Olavi Mikkonen e Anders Hansson (all'epoca secondo chitarrista degli Amon Amarth, prima che gli subentrasse l'eccellente Johan Soderberg) suonano più 'imprecise' e 'black' (riferendomi ovviamente all'impossibilità di cogliere tutte le sfumature dell'eccellente tecnica dei due maestri 'd'ascia'), il basso di Ted Lundstrom è a malapena udibile e il batterismo di Martin Lopez (predecessore di Fredrik Andersson passato poi agli Opeth) è più incentrato sulla violenza esecutiva, ma ugualmente tecnico e devastante. Il miracolo è che tutti questi elementi si fondono alla perfezione in quello che era il sound che gli Amon Amarth erano intenzionati a proporre all'inizio, ovvero una miscela perfettamente riuscita ed equilibrata fra il death metal svedese più intransigente (i più anzianotti fra voi avranno fatto paragoni fra Johan e L.G. Petrov degli Entombed più di una volta), il gelo furente del black e melodie che figurerebbero facilmente anche in un disco power.

Ad amalgamare il tutto e a renderlo irresistibile ci pensa la cultura (sì, avete capito bene, la cultura) nordica. Cultura che si manifesta con prepotenza nei testi belligeranti e profondamente anticristiani di Johan (guarda a caso il responsabile del passaggio degli Amon Amarth dal grindcore degli esordi al death metal melodico), nelle atmosfere epiche che evocano subito cavalcate furiose e battaglie disumane e, cosa più importante di tutte, nell'attaccamento passionale e quasi feroce che i cinque sentono per la propria terra, le proprie origini e il proprio passato, un attaccamento che sembrano voler sprigionare con ogni nota dei loro strumenti. Ed è una passione che si sente perchè è concreta, non ci sono ancora gli accenni alla mitologia e al pantheon nordico che verranno in seguito, i testi parlano della storia e della vita reale dei guerrieri vichinghi, dell'odio per un cristianesimo che ha prodotto solo rancore millennario in una Scandinavia che non aveva certo bisogno di lezioni di spiritualità, del sangue versato e delle ferite sofferte. I ruggiti laceranti di Johan che interpreta il padre furente e disperato per la morte del figlio ad opera degli 'uomini con un solo dio' in 'Ride For Vengeance' (la migliore canzone dei cinque a mio parere) scuotono l'anima, come fanno le ripetute urla di 'Without Fear', dove il guerriero morente si dichiara senza paura e pronto a morire, fiducioso che le Valchirie scenderanno per prendere la sua anima e portarla nel Valhalla. E come non menzionare poi la stupenda 'The Dragon's Flight Across The Wave', la schiacciante 'Victorious March', la feroce 'Abandoned', dove viene liberato tutto l'odio feroce e pagano della band per il cristianesimo ('Dalla furia degli uomini del Nord salvaci, O Signore'), e l'epica (ma in fondo quale canzone degli Amon Amarth non lo è?) 'Friends Of The Suncross'? 'Amon Amarth', con la sua atmosfera black e i rumori di battaglia campionati, è l'autocelebrazione del mito vichingo e la title-track la degna e trionfante chiusura.  

'Once Sent From The Golden Hall' è uno di quei dischi fatti con il cuore, che non ti aspetti apra le porte dell'Olimpo (o sarebbe più appropriato Valhalla?) heavy metal da un giorno all'altro, ma crei, componi e sudi per il fatto che ci credi. Non so che cosa si aspettassero gli Amon Amarth quando pubblicarono questo disco, ma sono sicuro che fossere convinti di aver fatto il proprio dovere.

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