Oddio, è fuggito uno scoiattolo dallo zoo... ah no è solo quel geniaccio di Andrè Matos che è tornato a propinarci un po' della sua fantastica musica, con questo "Time To Be Free", si perchè dopo aver sfasciato gli Angra, ha fatto dividere anche i "grandissimi" (ma chi vogliam prendere in giro) Shaaman, con il quale aveva tirato fuori due album decisamente bruttini e che sfiguravano accanto alla discografia Angra del post allontamento dello stesso Matos, del bassista e del batterista della formazione originale.
Ecco così che torna sui mercati, dopo ben 3 anni di distanza dal suo ultimo lavoro, con un disco che lascia un po' il tempo che trova, perchè si va benissimo, lo sappiamo tutti, anche le pareti di casa mia, che Matos ha una bella voce (magari un filino fastidiosa quando cerca ancora di prendere quelle note altissime che non riescono più come una volta), che è esteso e tutto il resto, ma la musica di qualità che si è riproposto di farci sentire dov'è?
Dove sono le melodie che rimandano ad "Holy Land", circa la cui presenza ho letto su alcune recensioni? Dove sono andati a finire quegli inserti di musica folk e progressive che rendevano la proposta Angra se non unica, quanto meno originale? La risposta è semplice, sono scomparsi a favore di melodie di stampo tipicamente power, chiaramente debitrici tra l'altro al bellissimo "Temple Of Shadows", sviluppate in maniera per altro piuttosto banalotta. Nulla di inascoltabile sia chiaro, ma tutto troppo prevedibile, semplice, lineare, senza un sobalzo, niente insomma, una manciata di buone canzoncine da canticchiare ogni tanto, ma nulla che resti nella testa per più di cinque minuti.
Gli unici pezzi che forse si fanno notare e che spiccano rispetto agli altri sono "Letting Go" e "Remember Why", entrambe assolutamente fuori luogo in quanto a bellezza e prova vocale del nostro brasiliano, la prima un'energetica traccia power, potente che mi ha riportato alla mente i primi Angra (unica traccia che riesce nel compito di ricordare la prima band madre del brasiliano), la seconda una toccante canzone che racchiude in se elementi tipici della musica folk irlandese, e ancora power e progressive metal.
Il resto, a partire da "Rio" sino all'ultima "Endevour", è un po' la solita cosa, chitarre distorte ma non troppo (vedi tu che i ben pensanti si debbano scandalizzare), tanto doppio pedale stile elicottero, voce altissima, melodie catchy e di una facilità disarmante, che si susseguono per oltre un'ora di musica.
Che altro dire? Beh, potremmo ad esempio spendere due paroline sulla produzione iper plasticosa del disco ad opera di Roy Z, che farebbe sfigurare addirittura l'ultimo disco di Jennifer Lopez in quanto a sapore di falso, ma questi sono altri discorsi, tanto ci saranno li fuori migliaia di persone con due paraocchi grossi quanto la gola di Matos che mi accuseranno di aver scritto una recensione imbecille e che in verità questo disco è un capolavoro, quindi non mi dilungo oltre e vi saluto, lasciandovi con un piccolo quesito... Perchè mai ovunque canta Matos poi alla fine si finisce sempre con degli allontanamenti avvelenati tra i vari componenti delle band?
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