Era ora che qualcuno prendesse la decisione di sottoporre il wrestling all'attenzione degli accademici.

Sul fenomeno della lotta da spettacolo americana si è detto e scrittodi tutto e di più; eppure, paradossalmente, nessuno ha mai scritto ciò che era doveroso scrivere.

L'ha fatto Andrea Corona, un giovane filosofo napoletano, autore del libro "Giochi ringhistici. Perché il professional wrestling è il gioco per eccellenza" (Kimerik 2009).

Corona spiega, in primo luogo, come il wrestling sia un fenomeno postmoderno nel quale vengono ripresi i canoni degli spettacoli classici e rielaborati con un preciso adattamento alla cultura di massa. Non si tratta di uno spettacolo di bassa lega nel quale degli uomini adulti si picchiano per il solo scopo di dimostrare chi è il più forte, perché questa è solo la maschera di una disciplina (o di un'arte?) basata sulla rappresentazione mitologico-ritualistica del Dolore e della Sofferenza.

Lo stile del libro presenta tutti i connotati di un trattato di semiotica, ma anche di antropologia del linguaggio, di sociologia, di pedagogia e di filosofia. Non a caso il libro ha anche un sottotitolo, "Saggio sulla ludologia contemporanea".

Come ha dichiarato lo stesso Corona, si tratta innanzitutto di un saggio di attualità, che si propone di inserire il tema del wrestling all'interno del dibattito, già in voga da alcuni anni, sul significato del gesto nel gioco e nello sport, riprendendo dei temi (cari ad esempio ai pedagogisti e ai filosofi del linguaggio) quali l'infrazione della regola come regola, la labile soglia tra il gioco innocuo e il gioco pericoloso, il ruolo dei giocatori, sempre in bilico, nel loro essere compagni di gioco, tra l'essere amici e nemici, complici e rivali.

L'autore affronta, mostrando molta competenza, i celebri testi sul gioco di Johan Huizinga, Roger Caillois, Eugen Fink e Gregory Bateson.

Ma oltre a tali testi (un saggio sulla ludologia non può non tener conto di questi capisaldi), Corona impreziosisce le sue argomentazioni rifacendosi anche allo straordinario libro di Gilles Deleuze sul masochismo, agli schemi della fiaba russa del linguista A.J. Greimas, nonché, naturalmente, al saggio sulla lotta da spettacolo del semiologo francese Roland Barthes.

Il capitolo centrale, che fa da anello di congiunzione tra la filosofia e la ludologia, è dedicato ai "giochi linguistici" di Wittgenstein, per il quale «il significato delle parole sta nel loro uso». Ma, fa notare Corona, il significato non sta solo nell'uso dei linguaggi verbali, ma anche di quelli non verbali: nei gesti, nelle azioni, nelle reazioni. Così, prendere l'ombrello per riparasi dalla pioggia è altra cosa dal prendere l'ombrello per sbatterlo in testa a qualcuno. Naturalmente, colpire qualcuno contro la sua volontà è altra cosa dal colpire qualcuno per assecondare un desiderio masochista. Insomma, se vogliamo capire il wrestling (nel quale spesso ci si picchia anche con gli oggetti), dobbiamo prima comprendere preliminarmente il contesto antropologico, la "forma di vita di comunità", entro il quale ha luogo un'interazione fra due o più persone. In caso contrario, volendo fissare un significato univoco per ogni parola, gesto, azione e reazione, si cade nel pregiudizio finendo per attribuire significati a sproposito, fraintendendo completamente le reali intenzioni dei fruitori dei linguaggi, nonchè dei soggetti delle azioni in generale.

Ma nel wrestling le reali intenzioni sono sempre "oscure", ma questo, tuttavia, è un valore aggiunto, perché porta lo spettatore a stare al gioco.

In conclusione, il significato del gesto nel gioco e nello sport viene studiato da molti pedagogisti, i quali, se si considera il progetto "Enciclopaideia", stanno affrontando l'argomento anche da un punto di vista fenomenologico, e quindi non solo da un punto di vista psico-pedagogico, ma anche filosofico.

In ciò, "Giochi ringhistici" è un libro azzeccatissimo, da consigliare a molti studenti universitari... ma anche a molti docenti.

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