[Contiene anticipazioni]

Leviathan ha il respiro ampio e profondissimo dei classici. Affronta una quantità di questioni con la compostezza delle visioni illuminanti. Con un intreccio compatto e mai eccessivo il regista Zvyagintsev riesce a dare una lettura complessiva di una società, ma non solo. Il film scandaglia quattro diversi scenari: il mondo corrotto della politica russa, la società marcescente che subisce questo potere, le dinamiche familiari da due prospettive, quella generale e quella specifica della famiglia di Kolya, ed infine una visione esistenziale assoluta e definitiva.

Politica. Ogni faccia viene levigata con grande ricchezza e profondità. Nel ramo politico è chiaro che il sindaco rappresenta il male, ma il suo ritratto assomiglia più a quello di un laido porco, «col ventre obeso e le mani sudate». Mentre la vera figura demoniaca, ma senza cliché, è quella del vescovo, che dà un fondamento filosofico - religioso alle azioni scellerate del politico, fomentando con asserzioni fideistiche la sete di potere e i metodi tirannici del sindaco Vadim.

Società. Anche l'analisi sociale è pregevole: al di là della facile critica all'alcolismo, i dettagli che devono fare riflettere sono altri e numerosi. Dalla sottomissione delle donne all'educazione approssimativa dei figli, dall'uso delle armi alla corruzione della polizia. La società russa è tragicamente scissa tra uomini ricchi e potenti, tutti ammanicati, e poveracci che allevano qualche maiale per sopravvivere.

Famiglia. La sfera familiare viene declinata secondo una lettura complessiva che intreccia quella sociale, laddove si mostra la non-educazione dei figli e la subordinazione delle donne. Hanno un ruolo importante in questo caso gli amici di famiglia Angela e Pacha; nel linguaggio cinematografico basta un secondo esempio di famiglia a pezzi per trasformare la singolarità in norma generale. Tutti gli uomini hanno il brutto vizio del bere, tutti i ragazzi risentono di un’educazione claudicante; una frase del figlio di Angela evidenzia bene il suo sperdimento morale, quando dice a Lilya «Ti sparo perché sei bella».

La storia di Kolya. Ma vero gioiello è la vicenda privata di Kolya. Non è complessa, ma presenta un sistema di personaggi profondo, calibrato e senza schematismi. Come viene detto dall’avvocato Dmitriy, ognuno ha le sue colpe: ogni personaggio commette parimenti errori e atti di bontà, ma l'esito è ineluttabilmente catastrofico, come in una tragedia. Le cause scatenanti non sono specifiche, sono piuttosto problemi costanti della società e delle famiglie. La moglie Lilya vive una vita evidentemente troppo prostrata per riuscire ad andare avanti. L'amore adulterino è l'unica valvola di sfogo. Tolto anche quello, l’esistenza torna ad essere una ruotine mortifera e insopportabile.

Il figlio Roman è la cartina tornasole delle aberrazioni familiari, anche se egli stesso è tutt'altro che impeccabile. L'avvocato Dmitriy è intelligente, ma avido e incontinente, nonché irrispettoso dell'amico Kolya. Infine il protagonista è figura vastamente problematica, a tratti leviatano della sua famiglia, come in parallelo il suo nemico sindaco Vadim lo è della città; ma è tutt'altro che un personaggio negativo, è anzi l'eroe tragico che va incontro al suo destino ineluttabile.

Un Giobbe senza Dio. Le domande che Kolya pone al sacerdote nel finale illuminano la lettura universale del film: egli chiede in sostanza che senso abbia vivere, se i giorni sono scanditi da sconfitte e tragedie. La parole del sacerdote richiamano la vicenda di Giobbe e ci indicano la risposta definitiva del regista al quesito perenne del «perché il male?»: non si può far altro che rassegnarsi ad esso. Ecco la visione nichilista di Zvyagintsev, che a differenza di Giobbe non vede nemmeno una consolazione in Dio.

Lo stile e la natura. Una sceneggiatura di questo valore è fortunatamente supportata a dovere dal comparto estetico. La macchina da presa lavora molto sulla staticità, conferendo eleganza e bellezza pittorica alle sequenze, spesso ambientate all’aperto in paesaggi molto suggestivi. La luce scarsa ben si accorda ai paesaggi che ci vengono mostrati. Essi svolgono due funzioni contrapposte: da un lato amplificano la filigrana oscura del film, dall'altra ne contrastano e ridimensionano il pessimismo mostrando un mondo che sa essere bellissimo pur nella sua estrema severità. I minuti finali sono una re-immersione nel mondo naturale, come a dire che i drammi umani sono solo un momento, un tassello del grande mosaico del mondo, che non ha bisogno di esiti positivi per auto-affermarsi costantemente.

Pudore. La cinepresa viene usata con eleganza e distacco empatico, evitando di posare l'attenzione sui dettagli più scabrosi e cruenti. Il rapporto adulterino è mostrato senza enfasi, le violenze sono sempre nascoste, come per pudore. Spesso i momenti tragici vengono inquadrati da lontano, nel tentativo di smorzare i drammi umani nel mondo naturale, che non conosce bene e male, come detto sopra.

Infine, la scrittura dei dialoghi sa essere asciutta, sintetica e al contempo esaustiva nel dare risalto ad ognuna delle tante sfumature del film.

Il mastodontico scheletro di leviatano compare solo per pochi istanti, ma è simbolo della decadenza profonda, dello stato di decomposizione avanzata di una società.

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