I figli di Anna von Hausswolff non sono ancora nati, ma lei ha già celebrato il loro funerale. Ha immaginato sin da ora quel momento, l'istante esatto in cui li accompagnerà all'eterno riposo. Lo ha fatto scrivendo Qualcosa come "Funeral For My Future Children", scioccante ed eloquente dichiarazione sin dal titolo. E da un testo che, sottoposto ad estrema opera di scarnificazione, urla come in una formula i versi "I'll bury my children, I'lll carry them to death". E ascoltando la sua Voce, non a sproposito definibile SUBLIME, la stiamo già vedendo piangere la perdita dei suoi bambini e deporre fiori sulle loro tombe che immaginiamo imbiancate di neve, nel pieno del più classico inverno scandinavo.

Anna ha immaginato quel momento al ritmo di percussioni e sulle note di organi solenni e imperiosi, colonna sonora a un rito pagano cui partecipare in totale devozione - lasciando l'anima annegare in un bagno intensissimo di emozioni e sonorità nordiche. E nel cuore di Anna, la stagione che prevale è un lungo autunno già tendente all'inverno: un autunno che sa di viali cosparsi di foglie come anche di lutto, di pianto, di giovinezza recisa. Oppure, se di estate si tratta, il suo novembre è l'estate, fredda, dei morti - come diceva il Poeta.

Cosa può spingere una ragazza nel fiore degli anni e della bellezza su simili sentieri di dolore...? Anna von Hausswolff, che è nata a Goteborg ma che da tempo risiede a Copenaghen, non è una ragazza come tante. E non perché la sua adolescenza fu fatta di lunghi pomeriggi nuvolosi passati ad ascoltare Cure o Echo & The Bunnymen, e a nutrire l'immaginazione con William Blake, la poesia ossianica, le elegie cimiteriali di fine Settecento. Neanche (o non solo) perchè ha interessi nella magia e nell'esoterismo. Il suo non è un cognome qualunque, e forse qualcuno sarà già arrivato al punto. Anna è la figlia di Carl Michael von Hausswolff, Artista visuale e visionario, ricercatore del suono, maestro di droni, frequenze e interferenze. E in quanto figlia di cotanto padre, ha presto perfezionato uno stile cantautorale personalissimo, che non le ha impedito di concepire la sua Arte come spazio di ricerche - e di espressività - virtualmente infinito.

Ma per poter parlare di "Ceremony", suo secondo long-playing registrato nel 2012 ma più di recente uscito sul mercato internazionale, bisogna anzitutto capire DI COSA stiamo parlando. Troppo facile semplificare, troppo facile fraintendere. "Ceremony" richiama nel titolo, per gli antiquari del Rock, la Messa parigina degli Spooky Tooth con Pierre Henry, ma non si tratta di una funzione religiosa in musica, perché ben altro è il concetto di RELIGIOSITA' qual è inteso dall'Artista svedese. Qui non ci sono angeli né demoni, né Inferno né Paradiso. Ci sono solo il mondo di questa Terra e l'aldilà. E' un disco sulla NATURA e sulla MORTE, o meglio sulla morte come compimento di un percorso naturale. Ma non è un disco IN LODE della morte, non un auto-compiacimento per il macabro o l'incubo, benché il video/cortometraggio allestito per "Deathbed" contenga più di un dettaglio mutuato dall'horror. E' un disco sul dolore, sulla fragilità umana, sulla NUDITA' dell'uomo che affronta il momento del trapasso e su quella dei suoi cari che sperimentano il lutto. Carico di forme di spiritualità arcaiche, pre-sociali, tipicamente germaniche.

Alla base della costruzione dell'Opera, due esperienze determinanti: lo studio sulla condizione e sul decorso del malato terminale, e un altro studio (ma prettamente musicale) sugli organi di chiesa e la loro sonorità - per il disco Anna ha suonato l'organo di una cattedrale, e ha fatto affidamento su una formazione ristretta di collaboratori di vecchia data; spiccano le presenze del chitarrista Daniel Ogren e di Maria, sorella di Anna, ai cori. Proprio il suono della chitarra elettrica e gli arrangiamenti corali sono i pilastri, dopo gli organi e i sintetizzatori, su cui si regge "Ceremony" - probabilmente il disco più bello degli ultimi 15 anni per me, di sicuro il più FORTE dal punto di vista emozionale.

Un'ora di Musica, una magistrale rassegna di visioni - come Anna ama rimarcare - "sulla VOLATILITA' di questo nostro essere". Una lunga elegia funebre che è un inno all'umanità e alla compassione, dove la profondità suprema dei suoni può essere goduta appieno - con effetti inebrianti - solo facendo suonare il disco ad altissimo volume. E la musica è la sola protagonista in apertura, perché passano di fatto 10 minuti (gli oltre 5 dello strumentale "Epitaph Of Theodor", più i 4' e 40'' iniziali di "Deathbed"), prima che Anna entri con la sua Voce altissima generando un impatto sconcertante, accentuato dalla lunga attesa e dalle chitarre "cosmiche" della prima parte di "Deathbed". L'intero pezzo induce a credere nell'esistenza della perfezione, nessuna parola può sostituirsi ai suoni. Al primo ascolto, d'istinto passarono per la mente - e tutto in sequenza - l'apertura di "Watcher Of The Skies", gli Ash Ra Tempel più contemplativi, in generale la Germania che guardava alle galassie e per esse immaginava una colonna sonora.

"Mountains Crave" ha la struttura di una canzone ma la solennità di una sinfonia, "Epitaph Of Daniel" dimostra che anche sulla più breve distanza Anna è capace di condensare gli ingredienti che dominano per l'intero disco; "No Body" sono 2 minuti e mezzo di sola sperimentazione, e un feedback centrale che si spinge sino ai limti della soglia del dolore. "Liturgy Of Light"e "Harmonica" (un battimani che somiglia a un rituale ancestrale) sussultano di accenti celtici da ogni nota, e gli stessi accenti si ritrovano in "Sova". "Ocean" è un moto perpetuo di piano classico nella prima parte, un coro di gospel profanato nella seconda...

E "Sun Rise" - significativo chiudere un disco sulla morte con un'ALBA... - dissolve la tensione accumulata in acque calde di dolcezza cristallina.

Un Capolavoro, un Disco alieno da ogni categoria.

Qualcosa che lascia un solco molto profondo.   

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