Il 24 gennaio del 1915 una squadra di incrociatori da battaglia inglesi affronta un gruppo di unità analoghe tedesche al largo delle coste olandesi, in quello che verrà definito «scontro del Dogger Bank». E durante questa battaglia inconcludente che vede fronteggiarsi il fiore delle due flotte, l'unica vittima sarà un incrociatore corazzato della Kaiserliche Marine, il poderoso Blucher da 18 mila tonnellate. La nave, non modernissima ma comunque un vero gioiello tecnologico, verrà raggiunta, circondata da unità inglesi a lei superiori e letteralmente fatta a pezzi a colpi di cannone; il suo equipaggio sarà decimato, e solo dopo ore di inferno il Blucher, più volte silurato, volgerà la chiglia al cielo per poi sparire fra le onde.
La fotografia, una delle immagini più famose della guerra sul mare, ritrae proprio questo momento. L'anonimo fotografo dell'incrociatore leggero HMS Arethusa (che affonderà per mano di una mina un anno più tardi) è stato fortunato a cogliere la scena con una lastra qualitativamente quasi perfetta. La nave brucia, le sue caldaie sono esplose, al suo interno giacciono non meno di 800 uomini morti o agonizzanti; chi è stato abbastanza fortunato a raggiungere la murata della nave per gettarsi in acqua cerca ora di seguire il movimento dell'immenso corpo che rotola su se stesso, e si arrampica sullo scafo. Li vediamo, gli uomini: brulicanti e minuti, lottano, si abbarbicano ai cannoni e ai cavi, li sentiamo urlare e affannarsi mentre il Blucher si schianta nell'abisso con un fragore terribile. Le onde sbattono sullo scafo, la cui immensità lascia sconvolti; ma il Blucher non è più una nave, è un'immensa tomba, un cetaceo ferito a morte i cui cannoni sembrano ramponi conficcati nel suo dorso.
Può sembrare una classica foto di guerra, e forse lo è. Ma io ci vedo qualcosa di più. Ci vedo follia, una follia smisurata che, come lo scafo del Blucher, nei limiti di una foto non riesce a entrarci. La follia di decenni di corsa tecnologica, che ha spinto i popoli di un mondo civile prima a guardasi con sospetto, poi a odiarsi e infine a macellarsi. Il Blucher e i suoi carnefici sono l'espressione di un potere cresciuto a dismisura, che ha portato gli uomini e i governi a credersi più sacri e infallibili della vita stessa, e che li ha messi nella condizione di doversi distruggere per sentirsi ancora più forti. Nelle foto precedenti al 1914, l'incrociatore tedesco e i suoi fratelli, nonché i suoi avversari inglesi, sfilavano per i mari del mondo dipinti di bianco, simili a castelli fantastici che scivolavano sul mare, iriti di pavesi, fiocchi colorati, polene d'oro che brillavano negli anni della magnificenza dell'Occidente. In realtà erano immense spade sguainate; quelle inglesi dovevano ricordare al mondo che i mari appartenevano alla Union Jack; quelle tedesche dovevano ricordare alla Union Jack che il Reich non sarebbe rimasto a lungo sul gradino più basso del podio. Di questa duplice illusione furono figli il Blucher e le immense flotte di corazzate che cingevano i mari del mondo; di questa ubriacatura furono vittime tutti i soldati che si maciullavano sui campi di Fiandra, a Gallipoli o sull'Isonzo, e via via di tragedia in tragedia sul filo degli anni che arrivano fino a noi. La vera vittima, nella foto, è l'uomo. Non il marinaio tedesco, forma indistinta ma inconfondibile, bensì l'uomo che ha creduto e crede ancora di poter distruggere se stesso per migliorarsi, per sentirsi guida di un mondo che, come il mare, può fare a meno di lui.
Sarà follia anche la mia, perchè forse vedo cose che in realtà non ci sono, e mi ritrovo colpito dalle storie delle grandi flotte del Novecento, le luminose corazzate che mi affascinano con una paura che non so spiegare. Forse qui c'è solo una foto, e non un buco nero, un corpo che affonda trascinandoci nell'abisso. Io ci vedo una triste sconfitta, oltre che un dramma della guerra e un'immane sofferenza. La sconfitta di un uomo che cerca di stare a galla aggrappato all'effimero potere che ha creato, e che invece affonda, nel mare della storia, mentre la battaglia non finisce mai.
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