Nel dilagare di opinioni e opinionisti permeati del solito tono provinciale e vittimistico che contraddistingue il nostro Paese, è un vero piacere scoprire un Antonio Polito che per una volta si affranca dal ruolo di egregio osservatore politico-economico per calarsi in quello di padre nel suo nuovo pamphlet “Contro i papà”. Grazie al tono virile e dolce insieme riscopriamo il piacere di un approccio chiaro e diretto alla questione della crisi dei giovani e finalmente tiriamo il fiato dalle angoscianti teorie psicologiche e sociologiche proposte da editoria e dibattiti televisivi, dove la fanno da padrone luoghi comuni o incomprensibili ragionamenti da esperti che di esperto hanno solo l’intento di confonderci ulteriormente. La faccenda certo semplice non è, e nemmeno Polito ha la pretesa di offrire la soluzione su un piatto d’argento, tanto che sul retro di copertina il “Come salvarci dalle conseguenze” è seguito da un bel punto interrogativo. Risulta invece chiarissimo il percorso che ci ha condotti alla situazione attuale, e capirne le cause è già un rassicurante passo avanti.

Il “sindacalista” che alberga in ogni padre parte dal presupposto che i giovani, e quindi i suoi figli, abbiano sempre ragione, la scelta comoda del quieto vivere, che sommata all’ “io proteggo i figli miei e lascio che tu protegga i figli tuoi” diventa l’accordo tacito su cui si regge l’Italia. Inutile negare che al fianco dei bamboccioni ci siamo noi, i baBBoccioni figli del baby boom, che insieme all’educazione e al senso morale abbiamo preteso trasmettere ai figli il diritto alla felicità facile, attraverso il benessere, la contraccezione e il pensiero del Novecento con le sue nevrosi di cui siamo vittime, Freud, Marx, il darwinismo, il Sessantotto, crescendo così degli infelici. I genitori esercitano l’overparenting, un eccesso di attenzione, principio che fa pendent perfetto con la comprensione, cercando così di farsi ubbidire per amore e non per timore delle punizioni, dove ai figli tutto si perdona a scapito delle “correzioni”. Un eccellente complice del genitore clemente è l’insegnante, allergico quanto gli alunni a ogni forma di valutazione, vuoi per pigrizia vuoi per compensare la frustrazione di uno stipendio vergognoso con una sorta di autoaffermazione nell’esibire una classe ben preparata. Ma se accanto alla responsabilità dei padri sono elencate una serie di motivazioni sociologiche, perché allora “contro i papà”? Se per questo anche la Costituzione ha avuto i suoi Padri, che se da un lato hanno codificato i principi etici in lodevoli norme giuridiche dall’altro hanno razzolato come tutti i comuni padri trasferendo nella vita quotidiana la loro italianità, applicando al diritto una personale interpretazione allargata, ecco che per esempio “il mantra paternalista si fa scudo di una lettura di comodo della Costituzione e trasforma il diritto al lavoro nel diritto a un lavoro”. Da Padre a padre, insomma.

La dignità del lavoro e l’affermazione professionale, il nocciolo del problema dei giovani, si fondano su due pilastri fondamentali: la scuola e le opportunità offerte dal mercato del lavoro, due questioni interdipendenti. Qui Polito tocca il tema più scottante di tutta la sua lucidissima analisi, intrecciando brillantemente il lifelong learning del metodo Montessori con la concentratio interrupta (sublime latino maccheronico) dalla TV, la peer pressure dei pari età, la questione dei Neet che non lavorano e non studiano sognando l’eredità, il livellamento verso il basso degli atenei italiani e il protezionismo della famiglia che si sostituisce ai figli nella ricerca del lavoro. Apprendiamo la distinzione tra ineguaglianza e ingiustizia sociale “in un mondo in cui l’influenza è tutto”, e pure peggio di quella virale perché è una malattia ereditaria, e che la tanto criticata maestrina-ministro Fornero in fondo non ha mica torto nel classificare choosy certi giovani refrattari ad adeguarsi all’offerta di mercato. “L’Italia non è un Paese per giovani”, è un Paese di raccomandazioni, a partire da quelle che riceviamo da piccoli dai “papà-orsetto” fino a quelle che ci procurano il rassicurante posto di lavoro da grandi, a meno di non appartenere alla categoria dei cervelli in fuga, e qui Polito, con una perfetta equazione economica, dimostra come la migrazione dei “cervelli” rappresenti un beneficio sia per il Paese ospite sia per la patria, anche quando l’investimento della formazione avviene a spese di quest’ultima. Ed esorta i genitori a tagliare il cordone ombelicale per lanciare i propri orsachiotti nel mondo. Se l’ottimismo è “l’arma per accrescere le nostre possibilità di successo”, ecco apparire catastrofisti e no-Tav per smorzare quel che resta della candela. Ma niente panico, l’autore, dati alla mano, ci dimostra come lo “stato di paura” sia solo frutto del pessimismo dei media, mentre la globalizzazione ha di fatto ridotto la povertà assoluta e per la prima volta la middle class rappresenta la maggioranza nel mondo.

Scritto con la penna pungente dell’esperto e il cuore tenero di padre, Polito non ci risparmia passaggi esilaranti e su un tema serissimo chiude persino con un frizzante finale tra mito, Padre di Dio e simbolico patricidio liberatorio. Questo non è un libro solo per i papà, è un libro per le mamme, per i figli, e anche per chi non ha figli, perché tutti siamo figli di qualcuno e soprattutto siamo figli di un Paese che dovrebbe finalmente buttarsi alle spalle la vecchia mediocrazia per lasciare il posto a una sana meritocrazia, a cominciare proprio dalla famiglia. Parola di mamma. Laura Zambelli Del Rocino

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