Un paesaggio rurale, l’alba di un qualche tempo passato, un bufalo che scappa all’interno della foresta, luoghi nei quali esseri ancestrali vecchi quanto l’esistenza stessa osservano il mondo con occhi fiammeggianti.
Thailandia, un giorno di questi tempi, Boonmee malato di insufficienza renale invita i suoi unici parenti che vivono in città a passare un po’ di tempo nella sua fattoria con il proposito di lasciare a loro casa e coltivazioni nell’eventualità della sua morte.
Lo stesso giorno dell’arrivo, durante la cena comincerà a materializzarsi la vita passata di Boonmee: la sua moglie defunta (con la quale Boonmee avrà un dialogo sulla morte e l’esistenza di rara bellezza, rarefatto e denso di silenzi quanto di significati), il figlio scappato nella foresta molti anni prima; foresta che assume un ruolo centrale con il suo essere grembo di spiriti ed esseri ancestrali, ricordi del passato e leggende.
La foresta vomiterà su Boonmee tutto il suo impianto mitico e lo accompagnerà insieme ai parenti nella ricerca di un grembo nel quale morire (e presumibilmente rinascere).
Non si pensi che questo passaggio sia lieve; gli ultimi ricordi di Boonmee sono immagini di un sogno che ci porta ad una dimensione sospesa tra passato e futuro, resa visivamente con fotografie, istantanee agghiaccianti di giovani militari thailandesi, esseri ominidi incatenati, nel mentre la voce morente di Boonmee ci racconta di gente che “sparisce”.
Ai parenti non resterà che tornare al loro minuscolo appartamento a Bangkok, luogo opprimente di incomunicabilità e solitudine che nemmeno l’esperienza metafisica vissuta con lo zio è riuscita ad abbattere.
Due mondi totalmente separati ed inconciliabili dove ormai è totalmente impossibile la comunicazione.
Il regista Apichatpong Weerasethakul (อภิชาติพงศ์ วีระเศรษฐกุล), sperimentatore video a tutto tondo che con questo film, parte di un progetto più ampio chiamato “Primitive”, sulla riscoperta di luoghi e ricordi della sua infanzia e vincitore della Palma d’Oro a Cannes nel 2010; ha girato la vicenda relativa a Boonmee nella regione dell’Issan, nel Nord Est, una delle più povere della Thailandia, luoghi da dove sono partite le “camicie rosse” che agitarono e misero a soqquadro Bangkok nel 2010 con la loro protesta, violentemente repressa dalla polizia.
Il film a mio avviso è una grande metafora relativa alla Thailandia moderna (ma anche all’Asia Sud-Orientale in generale) che ha già perso quasi irrimediabilmente l’immagine di un passato mitico/mistico e che continua un inarrestabile e squilibrato sviluppo economico pregno di apatia, incomunicabilità, appartamenti minuscoli ed asettici, sguardi vuoti, caos.
La megalopoli Bangkok con le sue strade immense ed il suo skyline è il cuore di questa nuova piattezza umana dove è totalmente assente lo spirituale ed il religioso.
Non ci sono più esseri leggendari dagli occhi di fuoco in Thailandia, solo molte persone dallo sguardo vacuo e che ogni tanto “spariscono”.
“il paradiso è un concetto sopravvalutato”
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