Richard Kuklinski è stato uno dei tanti killer che ha spezzato vite su vite nella grande patria della pace e della libertà. E in quella terra ogni storia e ogni uomo sono ottimi per generare film, libri e quant'altro. Ariel Vromen, isrealiano, ha deciso bene di esordire ad Hollywood mettendo su pellicola la storia del polacco Kuklinski.

Siamo a New York e le famiglie italo-americane si ammazzano come sempre hanno fatto per controllare il territorio. Quasi si uccidono per inerzia, perchè così è scritto nel loro codice genetico. Qualche vago riferimento ai Lucchese e ai Gambino, quella si, una delle più potenti famiglie della mafia italiana d'oltreoceano. Kuklinski è sposato, ha due bambine, ma ogni tanto fa fuori gente per il mafioso di riferimento (Ray Liotta nel ruolo di Ray Liotta). Poi manda a quel paese il suo capo e si mette in proprio con un amico. Perchè Richard è sì "The iceman", freddo, calcolatore ed osservatore, ma è più impulsivo di quanto ci si attenderebbe essere nel suo sottobosco criminale.

Ora, il gangster sta attraversando un momento di risacca cinematografica. Non solo mancano le idee, ma anche la capacità di rendere antropologicamente interessanti le parabole criminali di questi personaggi, una volta visti come riassunto esemplificativo della violenta società americana. Poco importava se a tracciarne l'epica fosse Scorsese, De Palma o Coppola. Oggi quello che si fa è riproporre sul grande schermo dei personaggi già visti e rivisti nei grandi titoli del genere, assolutamente privi dello spessore di scrittura di un Tony Montana o di Jimmy Conway. Si prende una storia e la si racconta, mettendo completamente da parte qualsiasi riflessione sociologica, qualsiasi analisi approfondita della società americana, qualsiasi risvolto morale della vita condotta da questi uomini del grilletto. Vromen ci prova anche a mettere su un film degno di nota: affida il ruolo di protagonista a Michael Shannon, attore sottovalutato e dal grande potenziale e infatti lui fa quello che può. La fotografia è azzeccata, molto ricercata soprattutto nel delineare gli interni dei fumosi anni sessanta. Peccato che rimanga uguale con il trascorrere del tempo, immutabile, come se regista e collaboratori non si siano avveduti del fatto che raccontavano una storia che va avanti per decenni senza che cambi il tono stesso della fotografia. Ugualmente, crescono le due bimbette del killer Kuklinski, mentre sua moglie (Winona Ryder) rimane sempre uguale, come lo stesso Richard, che ogni tanto cambia pizzetto e così se la cava. Parcheggiata la dissonanza di un realismo ricercato ma che non esiste, Vromen ha problemi anche a gestire una sceneggiatura che va avanti per espedienti e che risulta debole perchè banalizza i rapporti tra i personaggi come se l'uomo non fosse dotato dell'intelligenza per dubitare: la famiglia di Kuklinski non si chiede mai quale sia il lavoro di Richard, che a sua volta, da semplice killer assoldato per l'occorrenza, si permette di fare sgarbi ai peggio mafiosi della zona uscendone sempre intatto. Va bene romanzare la realtà, ma viene difficile pensare che il vero Kuklinski trattasse con tale noncuranza i suoi datori di lavoro.

In questo gangster/thriller di Ariel Vromen c'è tanto mestiere, una discreta conoscenza del genere e la bravura nel saper quantomeno sopperire con fotografia, montaggio e "atmosfera" all'impalpabilità della storia (vera) ma riciclata oltre ogni limite nelle sue forme e nella sua sostanza cinematografica. Qualche guizzo formale, un cast che rimane a galla e poco altro. "The Iceman" fa il paio con il più recente "Black Mass" diretto da Scott Cooper: anonimi film di quel genere, il gangster movie, che oggi appare sempre più gravato dall'incapacità di attualizzarlo. Il semplice piattume.

5,5

Carico i commenti... con calma