Anno ricco di movimento il 1977 per il Village Vanguard, ovvero un vero e proprio Santuario del Jazz, e che ancora oggi, dopo settantasette anni di pellegrinaggio prima degli appassionati di Folk e poi di Jazz, resta uno dei punti di riferimento non solo della New York musicale: tutto questo grazie a Lorainne Gordon, moglie di quel Max Gordon che nel lontano 1934, e senza un dollaro in tasca, ebbe la brillante idea di aprire, in uno scantinato, un night club nel cuore della New York bohemien.

Max se n'è andato nel 1989 Il '77, ad esempio, è l'anno in cui Dexter Gordon (nessuna parentela con "Mister Vanguard") e Woody Shaw daranno inizio alla loro tradizionale esibizione al Vanguard per la festa di capodanno. Ma quello è anche l'anno in cui nello scantinato del Village si darà vita ad una delle incisioni storiche che si siano fatte tra le mura del club newyorkese, già testimoni delle leggendarie registrazioni come quella di Coltrane, Rollins e di altra bella gente. Se la seconda metà degli anni '70 rappresenta per Dexter Gordon il ritorno in America, quello spicchio di decennio rappresenta anche la resurrezione, dopo varie vicissitudini personali legate ad alcol, droghe, carcere e via discorrendo, di Art Pepper, il vecchio uccellino bianco del sassofono contralto.

Le tre serate di quel weekend del luglio 1977, coincidono con la maturità artistica di Pepper, arrivata proprio con il suo ritorno sulle scene; ma senza dimenticare, ovviamente, cosa il sassofonista californiano aveva fatto nei 50's, culminati con il superbo capolavoro "Art Pepper Meets the Rhythm Section". Questo live è la testimonianza della seconda serata, la quale viene aperta da "Las Cuevas de Mario", che a dispetto del titolo esotico e latino, è un ammicante Blues in cui lo spezzettato fraseggio del contralto di Pepper ha il compito di aprire la serata con un momento musicale di basso profilo e non arrembante, ma certamente pregevole. Pepper è in grande spolvero, come dimostra la stupenda "But Beautiful", pezzo molto famoso con il quale si è cimentato, e con fortuna, Stan Getz, un altro dei sassofonisti cosiddetti lirici provenienti dalla corrente del Cool. Anche se, il fraseggio di Pepper alterna il lirismo del Cool, corrente che lo annoverava tra i suoi rappresentanti di spicco, alle esagitate dinamiche del Bop. Proprio in tal senso, Pepper sfoggia due prove maiuscole: la prima, "Caravan", brano in cui lascia il contralto per imbracciare il tenore. La seconda, "Night in Tunisia" (presente come bonus track), forse il manifesto Bop per eccellenza. In "Caravan" si marcia spediti come un treno: la cavalcata di Elvin Jones alla batteria, a suo tempo artefice con Sonny Rollins della storia delle incisioni al Vanguard, è uno sfoggio della sua classe incommensurabile, un fioretto che affonda come una spada. Al piano, George Cables, sicuramente uno dei più interessanti pianisti affaciatisi negli anni '70, riesce sempre a dare ulteriore pregio alle trame del leader di turno. George Mraz al contrabbasso è un vero portento. "Night in Tunisia" rappresenta la vetta ideale della serata, la ciliegina dalla giusta misura che chiude questo gioiello di Art Pepper. 

Max, dopo una serata di ordinaria leggenda, manda affanculo Art nella storica cucina/camerino/sala d'aspetto/ufficio posta sul retro del Vanguard. Ci vediamo domani, Art. Compratelo, e compratevi anche "Dal Vivo al Vanguard" scritto da Max Gordon... se ne sentirete delle belle perchè non leggerne anche delle belle?

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