Questa recensione è dedicata ad Aniel: la dedico a lui perché è lui l'appassionato di Death melodico, la dedico a lui perché un po' mi sembra di rubargliela, questa recensione. Già, perché io non sono un amante di queste sonorità mentre lui lo è eppure sento l'imperativo categorico che mi ordina di farla.

Prima di iniziare vorrei precisare un paio di cosette: prima di tutto cos'è il Death melodico. Questo tipo di metal, nato nei primi anni degli anni novanta (vale a dire circa cinque anni dopo il Death non melodico e circa in concomitanza con il Death ancoramenomelodico, il Brutal), si basa sugli schemi musicali del Death, o meglio del Thrash Death; accanto a clichè classici di quest'ultimo genere (i classici ritmi "terzinati") troviamo le voci in growling o più frequentemente in screaming del Death. La caratteristica vera e propria, come suggerisce il nome, è però la melodia, condivisa anche se in modo diverso con altri sottogeneri del metal come il Power e il Gothic; il Melodeath fa largo uso delle chitarre gemelle e in generale di un riffing ricco di scale ed accordi in minore che conferiscono al genere l'aura triste e drammatica che lo contraddistingue. Non è raro, anzi è quasi una costante, l'uso di tastiere allo scopo di amplificare l'atmosfera: tuttavia il loro utilizzo è ben lontano dalle mastodontiche prestazioni "pianistiche" tipiche dei gruppi Symphonic Black e, ancora peggio, nei gruppi Power Epic.

Le canzoni non di rado sono ricche di rimandi alla musica Folk locale e qui arriviamo alla seconda premessa; da dove viene il Death melodico? Il Death melodico, non a caso, è chiamato anche Death Svedese, con chiaro riferimento alla terra più fertile in questo ambito; ed è poprio la Svezia, in particolare i pressi della città di Gotheborg, a dare i natali ai gruppi seminali, In Flames, At The Gates, Dark Tranquillity, Unanimated per citare i nomi più importanti. E' frequente ritrovare, almeno nei primi dischi di questi mostri sacri (come in "Lunar Strain" degli In Flames o "The Gallery" dei Dark Tranquillity) frammezzi acustici ripresi dalla musica tradizionale scandinava, autentici marchi di fabbrica del Melodeath che ne hanno ostacolato la diffusione in altre aree del mondo e perfino d'Europa. E' abbastanza raro infatti trovare gruppi di questo genere al di fuori dei confini delle terre del Nord: ma invece Tepes vi stupisce tutti e vi porta un gruppo di Death Svedese dagli Stati Uniti...
contenti?
Di sicuro no, primo perché nessuno si caga la musica che recensisco e secondo perché proprio uno come Aniel, o Ozzyrotten o peggio che mai Fjeltronen (l'uomo delle lande ghiacciate) inizieranno a fare smorfie e versacci che termineranno solo a fine recensione o nel momento in cui ascoltino il disco.

I nostri amici americani hanno imparato la lezione dei gruppi sopra elencati (un po' meno degli Unanimated) e l' hanno riproposta ai loro conterranei e non solo in tre diversi dischi, un Mini Cd e due Lp; dopodiché hanno chiuso la baracca e se ne sono andati ognuno per la propria strada. Perché? E qui ci sta un debaseriano Chisseneincula!©... concentriamoci sul disco, che qui sto già divagando.

Nonostante io non sia un estimatore con la "e" maiuscola ("E", per intenderci), di Melodeath ne ho macinato parecchio ultimamente e sono sempre, o quasi, rimasto deluso. Oramai le band sono solo più Melo e non Death ed il risultato sono una serie di dischi dove le tastiere la fanno da padrone e che hanno effetti diuretici sul sottoscritto (Eternal Tears Of Sorrow, Obscurant e altri ancora). Gli As Hope Dies invece vanno a ripescare nel glorioso passato di questo genere, forse indugiando un po' di più sulla sua origine Death (strano da un gruppo che prima suonava Hardcore Punk). Ma il bello è che non è nemmeno questa la cosa che mi fa preferire gli As Hope Dies alle altre centinaia di gruppi Melodeath, bensì il fatto che questi tizi lo suonino fottutamente bene, a parer mio molto meglio di tanti altri dalla carriera e dalla fama ben più ampie. I gruppi a cui si rifanno principalmente sono At The Gates e In Flames del periodo d'oro (nella voce soprattutto) anche se non mancano riferimenti ai Dark Tranquillity; il tasso tecnico, come sempre per le band dedite a queste sonorità, si attesta su di un livello medio alto e include un riffing di chitarra abbastanza articolato senza eccedere però nei virtuosismi in modo da non intaccare il mood.

Gli As Hope Dies dicono di tristezza e di disperazione e indugiano sadicamente sull'ultimo raggio di luce, sulla "morte della speranza", sul dolore emotivo; almeno questo è quello che comunica l'ascolto, leggere i testi invece rimanda all'origine Hc del complesso e perciò ad una critica ingiuriosa nei confronti delle religioni. Ma in questo caso si può anche chiudere un occhio e concentrarsi magari sullo splendido drumming, a metà tra i canoni collaudati del Melodeath e un gusto per il Death classico, visibile nei blast beat e in altri tecnicismi. Non si può dire che il batterista superi in perizia i suoi colleghi, ma li eguaglia egregiamente e tiene alto il proprio nome in un panorama che solitamente non concede molto spazio agli ultimi arrivati. Ma il meglio arriva con il cantato, assolutamente eccellente: il nostro vocalist riesce a modulare la voce sapientemente ed altalenarsi tra screaming e growling puliti che collimano perfettamente con il riffing. Insomma una prestazione questa, che supera per intensità anche i migliori cantanti del genere. Idem dicasi per l'aspetto compositivo delle canzoni, decisamente ispirato e al di sopra della media, anzi, all'altezza dei grandi capolavori del passato come "The Jester Race" o "Clayman" (per citare quelli con cui noto più somiglianze); le canzoni sono scritte bene, per niente scontate (proprio grazie a quel retrogusto Death che tanto mi garba) e decisamente in linea con quello che si aspettano i fans di questo genere.

Forse il materiale proposto non è nuovissimo, ma non ho dubbi sul voto che merita: oggi come oggi di dischi così non se ne sentono poi tanti e inoltre va riconosciuto a questo "Legions Bow To A Faceless God" di aver saputo fare il verso al meglio del Death scandinavo anni novanta. E credetemi, non è poco.

Elenco tracce e video

01   Legions Bow to a Faceless God (04:53)

02   The Painful Truth (01:02)

03   Deceived (03:18)

04   His Beloved Maker (04:08)

05   Feeding the Broken Words of Hope in Vain (02:55)

06   In the Presence of That Evening (04:16)

07   Led Astray (03:51)

08   A Life Dead to Love (03:59)

09   To Slumber (02:00)

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