“Finché Atahualpa, o qualche altro dio, non ti dica: descansate ninjo, che continuo io”.
Molti di voi –ovviamente, i migliori- avranno sentito migliaia di volte questo verso contiano. Alcuni sapranno benissimo a chi e cosa l’avvocato astigiano si riferisse. Altri, incolpevolmente, per pigrizia o mancato approfondimento delle cose, no. Amen: Paolo Conte parla di Atahualpa Yupanqui, genio nato nel 1908 nella Pampa Argentina, cantautore di incredibile levatura e profondità. Personaggio che è reato non conscere, ma che è reato molto più grave non far conoscere. Dunque, noi poveri italici possiamo darci un’assoluzione collettiva, qui come quasi sempre e quasi ovunque, invidiando sotto sotto il cugino francese, che spesso alle cose arriva prima e meglio (e per ciò spesso non sappiam fare null’altro che prenderlo per il culo…). Sì, perché i dischi di Ayahualpa in Francia li trovi, nei negozioni e nei negozietti, così come fino a qualche anno fa trovavi oltralpe molti più dischi dei vari nostri Rava, Fresu o Testa di quanti ne trovassi in madrepatria (Gianmaria Testa, oltretutto, per molto tempo è stato prodotto esclusivamente in Francia, dato che il nostro mercato era troppo preso dall’esaltazione delle varie ugole pausiniane e gorgheggianti, che da troppo abitano la penisola e le nostre povere orecchie).
Oltralpe, magari stronzetti quanto volete, amano il jazz e il Sudamerica, e quel che merita d’essere amato (non poco) anche dell’America che sta là di sopra. Fatto sta che là, anche nelle stesse catene di grande distribuzione presenti in Italia, certa roba la trovi, mentre qui, semplicementissimamente, no. E allora passi il confine, compri i dischi, e te ne torni con l’aria furtiva di chi sente di aver ribato qualcosa, quasi importasse della droga, anziché del cibo per anime che solo bene può fare. Poi, per fortuna, è arrivata la Grande Rete, e lì, grazie al Mulo e ad altro, e in barba all’amatissima SIAE, si può cercare e persino trovare qualcosa. D’altra parte, ragazzi, un viaggio in Francia è senz’altro più dispendioso, anche se potrebbe regalare molte altre soddisfazioni.
Ma non dilunghiamoci troppo e torniamo a parlare di Atahualpa. E della sua chitarra classica. Quell’“arma” che lui sapeva maneggiare benissimo, tutt’uno con la sua voce. Senz’altro, dove finivano le sue dita, in qualche modo doveva cominciare una chitarra. Cantautore intimista e idealista, cantava di povera gente, di contadini, delle sue terre, delle colonizzazioni americane, della malinconia e della tristezza. Le sue canzoni sono davvero bellissime e non sfiorano mai, neppure lontanamente, la retorica o la banalità. Considerato che le sue raccolte di canzoni iniziano nel 1940, e di canzoni pare ne abbia scritte oltre 1500, il materiale, a volerlo cercare e fortunosamente trovare, non dovrebbe mancare. In mancanza d’altro si possono trovare alcune raccoltone in qualche modo riassuntive, come quella qui recensita, che riuniscono ovviamente non il meglio assoluto della sua produzione, ma una manciata di opere sufficienti a farsi un’idea. Certamente non ci si potrà non commuovere ascoltando perle assolute quali “Duerme Negrito”, o “La Del Campo”, oppure “El Poeta” o “Campesino”. O non si può non provare un brivido per l’immediatezza, la spontaneità e la “verità” di canzoni d’impegno quali “Basta Ya” o “Soy Libre! Soy Bueno!”, oppure di omaggi quali “Nada Mas” (a Guevara) o “Cancion Para Pablo Neruda”.
Ma, sempre a volerle cercare, si trovano testimonianze delle altre anime di Atahualpa: alcuni dischi, bellissimi, solo strumentali, ed alcuni libri. Io devo ammettere d’aver trovato solo una minima parte della produzione, e di cercare i tesori nascosti con dovizia e libidine quasi giornaliere. Poi vi è un periodo (guarda un po'…) francese dove avrebbe inciso molte tracce, ottimamente registrate, a Parigi. Esisterebbe un confanetto che ho visto una volta che non avevo i soldi e che successivamente, avendoli, non ho più trovato, secondo le regole della più feroce legge del contrappasso. La gran parte del corpus della sua opera, però è sostanzialmente costituito da canzoni per voce e chitarra, secondo il miglior schema di pura austerità e sostazialismo cantautorale. Un personaggio di questo calibro e di queste qualità, che ha inizito la carriera nel 1940, ovunque sarebbe un idolo e un maestro per il cantautorato. Anzi, sarebbe, in sintesi, una Scuola. Non da noi. Con due meravigliose eccezioni: un riconoscimento ad un “antico” Premio Tenco del 1980 e quell’avvocato cantautore e astigiano che gli ha riservato un bel verso in una delle sue più belle canzoni, certamente a lui ispirata e di fondo a lui dedicata.
Carico i commenti... con calma