Nerolio. Dramma in tre atti soggettivi o quanto mai ardimentosi. Petrolio nero.

I Atto: Ferro e sole. Umanità.

Un Poeta ammira ciò che offre il triangolo del Mediterraneo dai vetri popolari di un vagone di seconda classe. Mare, costruzioni abusive, arance, spine. All'interno dell'accogliente salottino pubblico delle ferrovie c'è o passa qualche giovanotto, qualche militare, qualche amante. Il Poeta si sistema in un albergo impostogli più dal cognome che porta che dalla possibilità di andarci. E' un posto che gli sta stretto. Preferisce abbandonare queste amenità dal sapore borghese per abbracciare quelle esperienze comuni tanto amate. Le preferisce. Dei ragazzi giocano a calcio in uno spiazzo periferico di fortuna. Vuole sentire le loro carni, i loro odori, vuole masticare la loro vita. Li vuole. Sono suoi.

II Atto: Mare e pioggia. Carne.

Il Poeta soffre nella sua casa. La sua ultima opera cinematografica è stata flagellata dagli strali avvelenati della critica e della censura. Meglio uno squalo bianco che terrorizza un tranquillo angolo d'America. Uno studente ha bisogno del Poeta e cerca di arruffianarselo con metodi poco credibili. Il Poeta non è stupido e se qualcuno entra nella sua gabbia deve vedersela con lui. Lui vuole carne da baciare, da leccare, da violentare ma dolcemente. La avrà.Vuole dimenticare e meditare. L'amore non esiste. Il mare si ingrossa grazie alla pioggia e lui sta lì ad ammirare lo spettacolo.

Intermezzo con fisarmonica e fiasco di vino

III Atto: Spaghetti e polvere. Morte.

Il Poeta vuole annullarsi. E decide di farlo a modo suo. Gira con la sua auto per le strade illuminate e deserte di una grande città. Raccoglie un giovane di bella presenza dallo squallore di un bar di stazione. Vuole fargli fare l'attore, vuole renderlo famoso, vuole farlo suo. Il ragazzo accetta ma ha fame. Viene accontentato in una trattoria dove il Poeta è un graditissimo avventore. Per diventare attore bisogna però "pagare una piccola gabella". Il giovane ci pensa ma crede di non avere il fegato. Il Poeta vuole sondarlo ma viene respinto. Si arrabbia, inveisce, attacca. Ne ha di forza il Poeta, possiede ottimi riflessi e un fisico abbastanza tonico. Viene però fermato da un paletto di legno che lo colpisce più volte. Il ragazzo è da solo. Strano. Il Poeta si mescola col suo sangue e giace nella polvere di un campetto di calcio dimenticato da Dio. Se ne parlerà per decenni e se ne parla ancora.

Aurelio Grimaldi produce una rivisitazione semipersonale della sfera sessuale non facilmente comprensibile e declamabile di Pier Paolo Pasolini. Il risultato è un'ardua dimostrazione di coraggio. La pellicola è stata, come ovviamente prevedibile, stroncata dai familiari e dai pasoliniani, quasi completamente ostracizzata dai circuiti distributivi delle sale e non meno pugnalata dalla critica. Bisogna però anche dire che in questo lavoro viene mostrata l'altra faccia di Pasolini, quella più oscura, quella più interiore, non proprio recondita ma sicuramente la più intensa e difficile da raccontare. Grimaldi inoltre è un grande estimatore di Pasolini e ciò viene garantito dall'altro ritratto in "Un mondo d'amore" e dal remake di "Mamma Roma" di "Rosa Funzeca". Bellissima la fotografia di Maurizio Calvesi con uno spietato bianco e nero che colpisce in ogni sequenza e non passa inosservata la scarna ma essenziale musica di Maria Soldatini. Molto bella e poetica la scena di transizione tra due episodi del solitario suonatore di fisarmonica. Peccato per i troppi lemmi di matrice più scurrile che demotica che infarciscono il secondo episodio.

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