...e fu cosi che nel 1996, a grande richiesta dei fans, Thomas Forsberg, conosciuto da alcuni come "Ace" e da molti come "Quorthon", colui che con un gesto ha dato il via al Black Metal e con un altro al Viking, dopo la parentesi non proprio esaltante di "Octagon" e "Requiem", decise di tornare all'epico, stavolta con un concept album.

"Blood On Ice" racconta la storia (piuttosto funzionale, a volerla dire tutta) di una vendetta: il protagonista, Blood On Ice, che da bambino ha assistito alla distruzione del proprio villaggio, al massacro degli uomini e alla deportazione di donne e bambini, si incammina guidato da un vecchio con un occhio solo in un percorso per raggiungere l'agognata vendetta, e arrivare cosi lontano, a nord, nella terra del non ritorno, a salvare i deportati e ad uccidere la bestia a due teste, autrice del massacro. La trama, che all'apparenza è piuttosto lineare e scontata, si rivelerà invece piena di citazioni e riferimenti alla mitologia nordica, che non sfuggiranno ai più attenti: si potrebbe parlare del vecchio con un occhio solo, che sarebbbe Odino (che così si dice usasse camuffarsi durante le sue scorribande tra gli uomini), della spada di "The Sword", la Notung di Sigfrido, del cavallo a otto zampe di "The Stallion", chiaramente Sleipnijr, il cavallo di Odino, e molti riconosceraano nell'intro una citazione diretta dalla scena iniziale di "Conan Il Barbaro", scena riprcorsa nel testo dell'opener "Blood On Ice".

Se quindi dal punto di vista concettuale l'album si dimostra quantomeno interessante, con testi peraltro scritti divinamente, è il caso di dire che da quello musicale si rivela invece molto più ostico, anche se rispetto a lavori come "Hammerheart" questo è più abbordabile, vista la durata delle canzoni. Queste, in alcuni casi estratte dalle registrazioni del 1987 e el 1988, hanno spesso addosso un gusto terribilmente ottantiano, in particolare la coppia "The Sword"-"The Stallion" sembrano uscite da "Into Glory Ride". L'album scorre in un'atmosfera cupa, che a tratti si fa davvero opprimente, come tipico del Viking, che come l'Epic Metal ottantiano si basa su sonorità lente, non di rado ripetitive, che quasi mai si concedono alla velocità.
E mentre seguiamo il percorso di maturazione di Blood On Ice, da ragazzo a uomo, da uomo a semidio, non si può non essere rapiti da brani come "The Woodwoman" o "The Lake" (tragicamente incollati in una sola traccia nella pessima ristampa della Black Mark) e come per magia, si dimentica la ripetitività di fondo, o forse si impara addirittura ad'apprezzarla; stesso discorso per la produzione, che, come Quorthon ha sempre abituato sin dal debutto, è assolutamente indegna, e suona a tratti in maniera non troppo dissimile da una acciaieria in piena attività, dove la voce è speesso coperta dall'incedere della chitarra. Ma forse, paradossalmente, sono proprio quelli che sembrano difetti, le stecche di Quorthon o il rumore del tagliaerba del vicino (entrato prepotente nell'acustica "Man Of Iron") a rendere questo "Blood On Ice", come "Hammerheart" prima di lui, un grande album.

Difficile spiegare come Quorthon sia riuscito in questa magia, come gli sia stato possibile trasformare difetti in pregi, e difficile è spiegare anche come quest'album perderebbe di fascino se con un qualunque altro cantante e una produzione cristallina e moderna. Tanto difficile che neanche ci provo; consiglio a tutti gli amanti dell'Epic e soprattutto a quelli del Viking che ancora non l'avessero fatto, di inserire questo album nel loro grammofono o nel loro stereo e di lasciarsi trasportare nelle gelate e oscure terre del nord, da uno dei più grandi che il metal abbia mai avuto: Quorthon.

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