Alle volte bastano pochi istanti per capire che aria tira. Poche parole e un pugno di note per sapere se quello a cui stai per andare incontro è un bluff, della fuffa-tutta-fuffa o delle vere canzoni tirate a lucido.
Per l'ultima fatica di Ben Folds è bene partire dall'intro solo piano di Gracie che fa pensare al migliore Joe Jackson. Il delicato gioco di note cristalline disegna una melodia esile ma chiarissima. Ancora un sospiro e poi si aggiunge a sostenerla un tocco leggero di violoncello, proprio un attimo prima che la voce comincia a dire della conquista di una giovanissima Grazia.

Da qui, da queste poche decine di note, è quasi certo, si capisce che Folds è uno che ha talento. Che è uno della famiglia dei songwriter tipo Elvis Costello o Randy Newman. Uno di quelli che ha tante di quelle canzoni in testa che nemmeno riesci a stargli dietro. Gracie, che arriva come quinto pezzo dell'album, è una canzoncina che si tiene in una sola mano. Tanto che dura appena due minuti e quaranta secondi. Non ce la fai nemmeno a dire che ti piace, che è già finita.
Non male, per un musicista, conoscere l'arte del tempo e della durata. Arte rara, di cui il pianista deve essere di certo consapevole se in quella perla che quasi chiude l'album (Time) ripete nel chorus con esplicita chiarezza: "In time I will fade away, In time I won't hear what you say, In time, but time takes time you know". E in Late si rammarica per il fatto che è stato tardi per troppo tempo ("It's been too late for a long time").
Si direbbe quasi che Folds abbia seguito i suggerimenti per il nuovo (anche se non più tale) millennio che il mirabile italiano (Italo Calvino) appuntò in quelle che sarebbe dovuto essere le sue lezioni americane.

Ben Folds conosce l’arte dell’essenzialità e mira all’obiettivo (melodie brillanti, testi a volte pensosi a volte irriverenti) senza esistare. Nell'ultima canzone (Prison Food) canta "... a trace of me, it floats in my periphery, and every time I turn to see it goes". Folds mira all'obiettivo senza sosta e lo centra tante di quelle volte che ti viene quasi da sorridere. Può bastare?

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