Un giorno potrebbe capitare di trovarmi in compagnia di qualche frugoletto innocente, magari il figlio di qualche amico di famiglia o quelle cose là: probabilmente, invece di farlo giocare con i soldatini o di raccontargli una storia, inizierei a raccontargli dei miei ultimi ascolti in ambito musicale (tanto più o meno parlo solo di quello e anche a sproposito lo tiro sempre fuori). A quel punto, il bambino potrebbe chiedermi “Ma scusa, cosa è il Death metal?” (vale il discorso di prima, ascolto solo quello); a quel punto, il sottoscritto tirerebbe fuori una copia di “The Grand Leveller” che porta sempre con sé per evenienze del genere, e la darebbe giulivo al bambino, generando un insanabile conflitto tra le due famiglie un tempo così intime.
Scherzi a parte, spero che questa “profonda” allegoria abbia reso l’idea della portata del lavoro che mi appresto a recensire e che nel contempo abbia un po’ ammorbidito gli animi dei sempre ostili lettori di Death recensionin (si, una captatio benvolentiae, proprio così). I Benediction sono, per così dire, i “cugini” dei Napalm Death; provengono infatti dalla medesima città, Birmingham, e hanno avuto membri in comune con i suddetti (il primo cantante dei Benediction, Mark “Barney” Greenway, fu poi cantante dei Napalm Death).
La loro importanza, per quanto non celebrata, è secondo me innegabile: infatti costoro hanno saputo realizzare un certo gusto musicale di quel periodo (non a caso il disco è datato 1991) come solo pochi altri hanno saputo fare.
Al di là di questo grande merito, i Benediction ha sempre fatto buona musica anche nelle uscite successive anche se “The Grand Leveller” rappresenta forse l’eccellenza mai raggiunta da questa band. Come già specificato, si tratta di Death metal senza compromesso alcuno, ancora parecchio influenzato dal Thrash più violento e in perfetto accordo con i canoni dei primi anni novanta (gli unici dischi dell’ambito un po’ fuori dal coro sono “Human” dei Death e “Effigy Of The Forgotten” dei Suffocation): il sound è perciò molto violento e aggressivo ma non di rado indugia in parti più torbide e grevi. La prestazione strumentale è imprescindibile anche se non eccelle per originalità o tecnicismo (rispetto ai due capolavori che ho citato prima, è decisamente inferiore); in ogni caso si ascoltano persone che suonano bene e con passione.
Il batterista, anche se un po’ statico, varia molto i tempi (da notare la quasi assenza di blast beat) tra parti più veloci e rallentamenti mortiferi (secondo me i pezzi migliori): proprio questa variazione impedisce di annoiarsi e da l’idea di una fase compositiva ben studiata, senza contare che in questo modo il batterista riesce a mettere in mostra le sue non mediocri competenze. Idem dicasi anche per i chitarristi, il lavoro dei quali però, considerati i tempi, risulta molto più originale. Il riffing è infatti veramente ottimo e ricco di spunti; oltre i classici riff e solos tipici della scuola Thrash (ovviamente esasperati e più pesanti) si trovano infatti pezzi gemellati che sono gli archetipi degli sviluppi futuri del genere.
Le linee di basso sono ottime, sempre udibili e intriganti, complice una produzione (tipica di quel periodo) sporca ma al tempo stesso capace di esaltare la potenza di tutti gli strumenti. La voce è buona, anche se leggermente monocorde: si colloca infatti su un growl abbastanza basso la cui estensione non è delle migliori. Ma quando si è di fronte a composizioni così curate ed attive, si può chiudere un occhio; i nostri non hanno grandissime pretese di evocare un mood importante e si accontentano di trascinare l’ascoltatore nel genuino tappeto sonoro di “The Grand Leveller”.
La storia non gli ha tributato il giusto compenso, ma certamente il valore di questo disco è alto, soprattutto per la sua immediatezza e per quello che rappresenta: il manifesto del Death metal di “evasione” che ha il solo scopo di frantumare i timpani (con classe però).
Elenco tracce testi e video
11 The Grotesque (03:26)
Inner deformity, such a foul deceptive rot.
Conceiving the grotesque. Nothing is but what is not.
Screeds of verbiage, never explained. Gazing at the flames.
Inside the dungeon or my skull, only mawkish thoughts remains.
Grotesque addict, forever shadowed,
darkness clouding me. Absurdity now fate.
Bizzarre dreams, an horrendous nightmare,
nothing left but to hallucinate.
Dementia reigns, a predilection. Total order cease.
Rescrudescent, this condition. Coherency decrease.
Humanity is not to shine, in my bloodless face.
Magnified in travesty, I have been displaced.
See with the eye of the mind. That the lie will speak.
Traumatic cracks in my addiction, made the future bleak.
Paralysed to ruminate, embolismic bitter jest.
Ontologically I'm dead, reborn as the grotesque.
THE GROTESQUE!
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