Abbisogno di decadi — datemi decadi!— o meglio ancora di secoli.

Abbisogno di gangli neuronali addizionali, periferici, installati appositamente per l’immagazzinamento di cacofonie.

Così, senza tutte le ere geologiche necessarie alla digestione, non riesco, pur nel reiterato re-reiterato ascolto, a scavare ove altri scavò. A giacere in quiete negli anfratti del suono ove altri giacque, ove altri ne patì l’oblio e la bruttura. O almeno: non abbastanza.

Questo dissotterratore di meraviglie insondabili, senza permesso alcuno, ha vissuto già qui, senza dubbio. Riesco a sentirne il calore presso la sabbia ove giacque, a sentirne l’obnubilata maestria da artigiano nella plasmatura dei materiali ormai abbandonati che adoperò.

Deve aver qui vissuto a lungo, masticando carne secca e cacando, non di rado, in buche nella sabbia.

Dev’essersi certo spezzato le unghie con quel suo forsennato ma serafico scavar negli anfratti del suono. Ne ho ritrovate alcuni frammenti, oggi calcificati.

Dev’essersi proprio divertito, quel mastro foggiatore di crepitii acusmatici, a prender per il culo il mondo, a dar vertigine ai padiglioni.

Sì.

Eppure oggi già non è più che un solco frastagliatamente inciso su supporto deperibile, e la natura del suono continua ad esserci sconosciuta.

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