Smessi i panni della sacerdotessa electro-industrial di "Post", Bjork dà con "Homogenic" un senso nuovo alla sua opera. Lo stuolo di produttori di grido permette stavolta l'emersione del lato più cantautoriale e intimo dell'artista (vista come individuo operante all'interno di un contesto - sociale, territoriale, umano), creando orpelli sonori che ben si sposano con l'idea di una terra tanto sterile e criptica quanto viva e pulsante.

La natura (meglio: la Natura) e la sua aridità primigenia, quindi, costituiscono il fulcro ideale attorno al quale si imperniano i racconti, paradossalmente ancora umani e tangibili dentro quell'involucro settico di dissonanze elettroniche e battiti regolari.

La voce, intanto, crea quadri emozionali che si identificano in dieci storie dotate di una propria individualità. E non si limita a suggerire: racconta. Racconta di drammi che sembra provengano dalla Spagna del '700 ("Hunter"), di vulcani -anche interiori- in eruzione ("Pluto"), di un amore che è ovunque ("All Is Full Of Love") ma crea sofferenza ("Unravel"). Il trip hop di "Bachelorette", inno monumentale al disagio tra gli amanti, è la summa poetica dell'intera opera, mentre "Alarm Call" è un'ultima reminiscenza delle palpitazioni da discoteca degli esordi.

Sebbene ancora immatura nelle liriche, Bjork trova finalmente la sua vera voce creando il suo lavoro più coeso e unitario di sempre, ma la vera rivoluzione sta nel suo personale immaginario. La geisha umanoide della copertina la consacra semioticamente come Musa del genere umano.

Carico i commenti... con calma