A seguito dei primi episodi della "Pantera rosa", dello scintillante, demodè "La grande corsa", il fiacco "Papà cos'hai fatto in guerra", il curioso "Peter Gunn: 24 ore per l'assassino, Edwards richiama Peter Sellers per interpretare sullo schermo un suo personaggio radiofonico di successo, l'indiano combinaguai Hrundi Bakshi. Il risultato di questo incontro è "The party", conosciuto in Italia  col titolo di "Hollywood party" (al solito, non si sa mai che gli italiani siano dei deficienti e non vadano a vedere un film con un titolo troppo sintetico).

Nonostante le aspettative, il film non ebbe il successo sperato. Forse la gente si aspettava un pasticcione alla Closeau, generoso e ottuso e comicamente pieno di sè. Hrundi Bakshi invece è lento, sottile e inesorabile e forse molti spettatori non avranno avuto la pazienza di seguire la sua diabolica trama di distruzione.

Col tempo "Hollywood party", grazie al benedetto passaparola che ha salvato films come "2001", è diventato un film di culto, tanto da raggiungere lo status di capolavoro della comicità.

E capolavoro è, difatti.

Per chi non lo avesse visto questa è la trama, in sintesi: siamo su un set di un film di avventure coloniali, stile "Gunga Din"; una comparsa indostana purosangue (Sellers) riesce a combinare dei disastri tali da dover interrompere la lavorazione del la pellicola.
Segnalato dal direttore di produzione al produttore, Clutterbuck, questi annota il complesso nome su di un foglio posato sulla scrivania. Dà ordine alla segretaria di contattare, tramite invito scritto, tutti i nominativi apposti su di una lista per il party della produzione.
Il destino vuole che su quel foglio, come fosse aggiunto all'ultimo minuto, sia stato annotato il nome di Bakshi...
Ciò che segue è una vertiginosa parata in crescendo di catastrofi, fino alla debacle finale. La splendida villa del generale Clutterback verrà letteralmente affondata da un torrente di bolle...

Esile canovaccio: e all'interno un meccanismo comico di fine orologeria affine a "Play time" di Jacques Tati, peraltro dello stesso anno. Le gag dei disastri compiuti da Bakshi compiranno lo stesso percorso di quello avvenuto sul set del film di cui era comparsa. Il mondo scintillante e fasullo delle presenze di mezza tacca che infestano certo tipo di ambienti, così come i potentati snob che li dominano, trovano nel mite indiano un inconsapevole giustiziere.

E' stato messo spesso in rilievo il lato satirico di questa pellicola: apparentemente può sembrare un  divertissement fine a se stesso ma sono troppo proverbialmente caricaturali e paradigmatici i rappresentanti del sottobosco cinematografico (il cowboy, l'attrice fanatica con tupè, il direttore di produzione canaglia che si scopa le attricette, l'imbecille moglie del generale Clutterbuck) per scartare questa ipotesi.

In "Hollywood party" è il mondo dei vinti ad avere giustizia: Bakshi, figura eroica di antieroe, la stellina Michele Monet (interpretata dalla vera stellina/cantante Claudine Longet, una sorta di Astrud Gilberto francese) che non giace ai compromessi per la carriera, il cameriere alcolista Levinson, personaggio che giganteggia all'interno del film quasi come Sellers e che troverà l'amore con una starlet alcolista come lui. L'ipocrita ordine di convenienze e formalità, il vacuo mondo di apparenze (sostanza di cui è fatto il mondo dell'industria del cinema), viene polverizzato, anzi, affondato (letteralmente) da questa personcina indiana, tipicamente gandhiana nella sua gracilità e determinazione, dal sorriso trasparente e dai modi innocenti, la cui formalità di maniere è derivata da una autentica gentilezza dell'anima. forse l'unico personaggio "dall'altra parte" che si salva è proprio il generale Clutterbuck, industriale dell'arte sì, ma che subisce, tratteneno l'insofferenza come fosse un auto ingolfata, tutte le menate della moglie e dei suoi dipendenti (raramente come in questo film si percepisce l'idea di attore come lavoratoree non come artista, la famosa "bestia" di hitchcockiana memoria).

Secondo quest'ottica a parere di chi scrive la scena chiave è quella dove Bakshi si avvicina alla centralina dei comandi remoti della splendida villa. Come un bambino, Bakshi ha il vizio di toccare tutto e agisce sui comandi; di volta in volta farà allungare il getto d'acqua che fuoriesce dal pisello del putto di bronzo che minge in piscina, farà partire di colpo una fiammata dal caminetto centrale, scaldando il culo a diversi parrucconi e, notato un'oscilloscopio che muove l'onda quando egli parla, gracchierà versi di pappagallo e frasi precedentemente rivolte al cowboy. Cala il silenzio: sono tutti attoniti a sentire la voce di questo Angelo Sterminatore dai sistemi aggrazziati e sovversivi.

Nonostante il tempo abbia abituato le persone ad una comicità veloce, prevedibile, fatta di battute e di tormentoni "Hollywood party" può essere ancora un meraviglioso antidoto a ciò: distilla goccia dopo goccia la nitroglicerina di un umorismo ad altissima carica dirompente. Consigliatissima la visione in lingua originale, sebbene la versione italiana sia davvero riuscita.

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